Anni di campagne di sensibilizzazione contro l’uso del contante non hanno dato grandi risultati. Nemmeno l’evoluzione tecnologica che ha reso più pratici e intuitivi i pagamenti elettronici, tra carte contactless e app per gli smartphone, sembra avere cambiato realmente la situazione. Gli italiani restano attaccati al contante. Usano banconote e monete per l’86% della loro spesa, percentuale che ci mette al terzultimo posto d’Europa per quota di pagamenti elettronici. La media europea di uso di bancomat, carte di credito e altri strumenti è del 74%. Il fatto che in fondo a questa classifica dove l’Italia è terzultima ci sia la Grecia, cioè l’economia più problematica della zona euro, non può che rafforzare il sospetto che un elevato impiego dei contanti non sia sintomo di salute ed efficienza di una nazione (e l’Italia non è la Germania, dove la scarsa popolarità dei pagamenti elettronici si lega a paure antiche che hanno a che fare con inflazione e banche svuotate). Il think tank The European House - Ambrosetti ha creato tre anni fa una piattaforma per mettere a confronto istituzioni e aziende sull’evoluzione dei metodi di pagamento. L’obiettivo è promuovere l’uso dei pagamenti elettronici. Dentro a questa organizzazione, chiamata Community Cashless Society (cioè Comunità per una società senza contante) ci sono nomi pesanti, come Intesa Sanpaolo, Poste Italiana,Visa, Mastercard, Sia. Giovedì scorso, prima dell’avvio del forum Ambrosetti, la Community si è riunita per fare il punto sulla situazione. In quell’occasione si è confermato il permanente ritardo italiano nel cambiamento delle abitudini.
Tra il 2008 e il 2017 il contante in circolazione in Italia è passato da 127,9 a 197,7 miliardi di euro, con un aumento del 3,8% solo l’anno scorso. Il valore delle banconote e delle monete in circolazione è passato nel decennio dall’8,1% all’11,6% del Prodotto interno lordo (anche in queto caso uno dei livelli più elevati d’Europa). Nello stesso periodo la quantità di denaro prelevato agli sportelli bancomat è aumentato dell’8,9% all’anno, fino a raggiungere i 193,6 miliardi di euro. Davanti a questi numeri si ridimensionano molto i dati che mostrano la significativa crescita parallela anche dei pagamenti elettronici, saliti del 5,4% in media all’anno dal 2008 in poi, fino ai 177,8 miliardi di euro del 2016. Con 43,1 acquisti annui con carte di pagamento l’italiano medio resta comunque nel gruppo dei grandi scettici europei sulle tecnologie di pagamento. Ed è un problema. La Community coinvolge molte delle aziende attive nelle tecnologie di pagamento ed è quindi una piattaforma anche “di parte”, ma la riduzione nell’uso dei contanti offre diversi vantaggi oggettivi. Non è un mistero che il mondo dei pagamenti in contanti sia l’ambiente più tranquillo per gli evasori fiscali che offrono sconti in cambio di pagamenti in nero.
Secondo le stime dell’osservatorio di Ambrosetti, allineandosi alla media europea dei pagamenti elettronici l’Italia potrebbe fare emergere 40 miliardi di attività “sommerse” e 4 miliardi di euro di gettito Iva. A questo vantaggio per le casse pubbliche, si aggiunge il risparmio sui costi di gestione del denaro, stimati in 10 miliardi di euro l’anno che si ridurrebbero a 8,5 sempre nel caso che l’Italia si allineasse alla media europea. Lo sviluppo dei pagamenti elettronici potrebbe poi favorire un incremento dei consumi e lo sviluppo di startup nel settore della finanza tecnologica. Certo, occorrerebbe un piano. La Community fa notare che tutti i paesi più «cashless» hanno definito una loro strategia nazionale sui pagamenti elettronici, mentre l’Italia non lo ha mai fatto. Anzi, con la legge di stabilità del 2016 i limiti all’uso dei contanti sono stati riportati a 3mila euro rispetto ai mille a cui erano stati ridotti nel 2011 dal governo Monti, e senza apparenti risultati positivi sull’andamento dei consumi. Un primo passo, conclude lo studio, potrebbe consistere nella realizzazione di un patto nazionale tra le aziende che si occupano di pagamenti e gli esercenti in settori strategici ad alto incasso come i supermercati e le stazioni di rifornimento, dove in media gli acquisti in contante sono tra il 70 e il 75% del totale. In questi settori, è la proposta, si potrebbe partire con incentivi e sconti per pagamenti elettronici, magari con il coordinamento del governo.