martedì 18 marzo 2025
Speranza e cura: a Roma la riflessione etica, medica e religiosa sulla malattia, il dolore e la medicina. Perché le persone più fragili non si sentano abbandonate
Il complesso del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di  Roma, annesso all'Università Cattolica

Il complesso del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, annesso all'Università Cattolica

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Non esiste il diritto di morire. E di certo nessuno pensa di farla finita se gli viene garantita la speranza di vivere con dignità. Perché se è vero che guarire non sempre è possibile, la gestione del dolore, la cura e la presa in carico da parte di un team multidisciplinare possono davvero fare la differenza. Sempreché ci si trovi però in una regione con centri di eccellenza, e che il Sistema sanitario nazionale non imploda per mancanza di risorse.

Nella due giorni (12 e 13 marzo), promossa dall’Università Cattolica di Roma, “La Speranza nella cura: un percorso di Fede, Scienza e Umanità” - terzo appuntamento dell’iniziativa di Ateneo sulla Speranza nell’Anno giubilare – gli esperti non solo mettono in guardia dai rischi delle diseguaglianze nell’accesso alle cure, e di una sanità che diventa un business, ma soprattutto dalle conseguenze che ne derivano quando non ci sono medici formati o strutture attrezzate in grado di fornire le cure palliative.
«Chi si occupa di sanità – rimarca Antonio Gasbarrini, preside della Facoltà di Medicina e chirurgia – per definizione cura non gli organi ma le persone, nel contesto in cui crescono e sono cresciute». In sostanza, «la vera cura – ribadisce monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo – è frutto dell’alleanza tra la scienza e la sapienza, poste a servizio del bene integrale di ogni persona».

Eppure, spesso la persona fragile diventa quasi un peso per la società. «Le innovazioni tecnologiche, l’intelligenza artificiale, anche gli annunci prometeici del superamento di ogni limite, lasciano poco spazio alla consapevolezza della vulnerabilità della condizione umana – spiega monsignor Nunzio Galantino, presidente emerito dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica –. Non è difficile imbattersi in chi si ribella all’invecchiamento, alla malattia, alla morte come condizione dell’umanità. Le varie forme di malattia vengono viste come un ostacolo sgradito, come un errore di calcolo della modernità efficiente. Quando questo quadro diventa rilevante i fragili vengono abbandonati». Troppo costoso persino prendersene cura. «Certa parte della cultura neo liberista, per niente marginale ai nostri giorni – denuncia Galantino – preme per stabilire i criteri in base ai quali una vita ha valore ed è degna di essere vissuta. Questo può portare a forti ingiustizie e disuguaglianze, laddove ci si lascia guidare dalla logica del profitto e dell’efficienza». Demandando magari le scelte di cura all’intelligenza artificiale.

«Se chiedessimo per esempio a ChatGpt cosa farebbe con un paziente di 84 anni con un tumore – riflette Gasbarrini – direbbe che non ha alcun senso prendersene cura perché sarebbe uno spreco di risorse. Noi invece dobbiamo considerare ogni paziente anziano come se fosse nostro padre. Non cadiamo mai nel neo liberismo, nell’applicazione stupida di algoritmi o di dinamiche economiche». Che non a caso sono legate anche al fine vita. «Non è il morire l’ultima speranza – rimarca Antonio G.Spagnolo, direttore del centro di ricerca in bioetica clinica della Cattolica –, spesso il suicidio viene interpretato come ultima speranza. Invece, dobbiamo privilegiare la speranza di morire bene». E per farlo, come dice Marco Rossi, direttore di Anestesia delle chirurgie specialistiche e Terapia del dolore del Policlinico Gemelli, «bisogna dare sempre una risposta al paziente, mai lasciarlo solo».

Alla fine della prima giornata, l’inaugurazione della mostra su “Arte e Spiritualità”, la nuova edizione dell’esposizione artistica nell’ambito del progetto “Itinerari di Arte e di Spiritualità” che dal 2017 è curata dagli studenti dell’Ateneo, grazie alla sinergia tra il Centro Pastorale e il Dipartimento di Storia, Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università Cattolica.
Durante l’appuntamento del 13 marzo, dal titolo “La Facoltà di Medicina per l’Africa: una speranza per il cambiamento”, docenti e personale della Sede hanno condiviso progetti, iniziative ed esperienze promossi e vissuti negli anni per il continente africano; a seguire, l’esposizione e la discussione dei poster preparati in occasione del Convegno, fra i quali alcuni progetti del “Campus Solidale”, la rete di volontariato della Sede di Roma dell’Università Cattolica.

L’iniziativa dei due giorni di riflessione su speranza e cura che nasce per rispondere all’invito della Bolla pontificia di indizione del Giubileo 2025 “Spes non confundit”, rientra in un programma di eventi più vasto: l’Università Cattolica promuove, nel corso dell’intero anno giubilare, 12 incontri, seguendo il punto di vista di ciascuna delle sue 12 facoltà, incontri che – come spiega la Cattolica – «costituiranno un percorso di riflessione e di studio in cui docenti, studenti e personale dei cinque Campus potranno riflettere attorno ai temi proposti e condividere idee e progetti di ricerca e di attività rivolti non solo al proprio ambiente universitario, ma all’intera società».

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