
Una macchina agricola distrutta dalle mine - Associazione dei coltivatori
Anna ha finito di sminare il podere insieme al marito Oleg. «Se aspettavamo quelli di Kiev passavano altri tre anni. Ci hanno spiegato come fare e siamo ancora vivi», dice mostrando una dozzina di proiettili d‘artiglieria inesplosi. Se vogliono seminare in tempo non hanno altra scelta.
Giubetto antischegge e fazzoletto rosso legato alla testa per proteggersi dal vento teso, ha smosso per settimane il terreno con l’impugnatura di una vanga che i grossi calli sulle mani di entrambi hanno levigato in anni di fatica. Sminare alla buona è un lavoro da rabdomanti. Affidandosi a tutti i santi protettori della zona, si infila delicatamente il bastone nel terreno, tastandolo palmo a palmo finché non si sente un ostacolo. Di solito è un grosso sasso o i resti di qualche bestia sepolti nel fango. Poi piano piano scavano intorno e se è una granata o un proiettile lo lasciano lì e passano oltre a cercarne altri. Poi come fosse la raccolta dei tuberi, con la schiena curva e la mano di velluto, estraggono uno ad uno gli ordigni e li posano su un lato. Quando si tratta di mine anticarro, «possiamo stare tranquilli perché esplodono solo ce ci passa sopra qualcosa di molto pesante, ma con i proiettili non si sa mai». C’è un’altra minaccia che si annida tra i rovi e che si mimetizza tra i sassolini: i bussolotti delle bombe a grappolo. Generalmente esplodono all’istante quando il razzo dentro a cui viaggiano esplode spargendo centinaia di sfere infarcite di esplosivo. Ma molte restano li, e con la pioggia e la neve affondano nel fango e attendono che scatti la trappola. A malincuore, c’è chi manda avanti il bestiame a fare da cavia sulla campagna ancora da dissodare.
Anna intanto scalda la zuppa rossa di barbabietole, il borsh che da pietanza nazionale è diventato un piatto identitario. Le forze russe sono a poche centinaia di metri e adesso che il fiume non è più un vasto palcoscenico di ghiaccio, la gente del villaggio teme che possano tornare da un momento all’altro. «Se firmeranno la pace ma resteranno sul fiume, i loro cecchini potranno continuare a spararci», prevede Anna che non ha dimenticato i dieci anni di guerra nel Donbass. Ora che il campo è creduto libero dalle bombe, i due anziani contadini possano sospirare e prendersi in giro: «Ringrazia Putin, ti ha allungato la vita», rinfaccia lei al marito mostrando una stecca di sigarette ancora avvolte nel cellophane. Oleg aveva l’abitudine di prenderle a buon mercato da amici contrabbandieri tatari in Crimea. «Era l’unico svago. Mi svegliavo di notte e uscivo a fumare sul balcone, anche d’inverno. Ma ho paura - confessa -. Dall’altra parte del fiume i cecchini potrebbero vedermi con la sigaretta accesa. E allora ho deciso di smettere», racconta ammettendo che in effetti da un paio d’anni l’asma è meno aggressiva.
Le autorità locali calcolano che rispetto al 2022-2023, gli agricoltori di Kherson hanno ora hanno dieci volte meno probabilità di saltare in aria. Il numero degli sminatori in effetti è cresciuto, ma quando le spallate dei battaglioni moscoviti si fanno più insistenti, bisogna che i soldati mollino i metal detector e riprendano i fucili per respingere gli assalti. Negli ultimi giorni si vedono anche dei robot cingolati che si muovono in autonomia.

Mine nei campi agricoli - Un gruppo di agricoltori
I cani randagi dopo l’iniziale ringhiosa diffidenza, adesso sembra ci vadano d’accordo. Sono forniti dai governi di Canada, Corea, Giappone, Svizzera e Francia, anche con fondi Onu e della fondazione americana di Howard Buffett, il figlio figlio filantropo del magnate Warren. Le stime più ottimistiche dicono che 403 mila ettari, l’80% dei terreni agricoli sulla riva destra della regione di Kherson, quella liberata dagli ucraini alla fine del 2022, sono stati sminati. Ma con l’artiglieria russa che picchia senza sosta, nessuno sa dire esattamente quanto ancora rimanga da fare. L’amministrazione militare della regione sostiene che dal 24 febbraio 2022 al 16 febbraio 2025, 55 agricoltori sono stati colpiti da mine e altri ordigni: 14 sono morti, tra cui un minorenne, e gli altri devono fare i conti con l’invalidità permanente.

Mine nei campi agricoli - Un gruppo di agricoltori
Nelle ultime quarantott’ore, nel pieno dei colloqui in Arabia saudita, l’esercito russo ha bombardato una trentina di insediamenti nella sola regione meridionale di Kherson. Molti dei droni sono stati lanciati dalle basi in Crimea, hanno attraversato il Mar Nero e sono piombati indistantamente su militari e civili. E sono questi ultimi a domandarsi se l’annunciata “tregua del Mar Nero”, vuol dire che gli ordigni scagliati dalla penisola annessa nel 2014 si fermeranno oppure verranno graziate le navi che trasportano il grano ma non i contadini che lo producono. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato che le Forze armate hanno condotto con successo il test di un drone a lungo raggio, che può volare fino a tremila chilometri. E sempre Kiev conferma di avere usato di recente anche il missile “Neptune”, in grado di colpire fino a mille chilometri, potenzialmente anche Mosca. «Dobbiamo produrre più missili, più droni e ne parleremo con i nostri partner questa settimana», ha annunciato alla vigilia della partenza per Parigi.
Che sia vicina una svolta molti lo sperano. Al tramonto l’intensità degli attacchi è diminuita, e come non accadeva da mesi, la cartina che indica le regioni sotto allarme aereo segnava solo due aree di pericolo. Per alcune ore solo l’artiglieria ha smosso le fronde. Nessun drone. Come se si attendesse che qualcuno facesse la prima mossa, prima di ricominciare. Dalla regione occupata di Luhansk intanto arriva la notizia di tre giornalisti russi uccisi da un missile ucraino fornito dagli Usa. Ma prima ancora che si sappia cosa è accaduto davvero, le sirene che annunciano nuovi attacchi aerei sono riprese a suonare.