«Perché mi hai abbandonato?». Nella Domenica delle Palme Francesco, appena uscito dall’ospedale, sfiorato per qualche ora da un malessere che poteva sembrargli la morte, ha iniziato l’omelia in San Pietro con il grido di Gesù sulla Croce. Grido che abbiamo sentito ripetere tante volte in tanti Venerdì Santi, e che eppure rivela sempre del nuovo. Perché chi è giovane, sano, amato, fatica a comprendere appieno quella parola, «abbandono». Con l’avanzare degli anni, con i primi amici che muoiono, quella parola si capisce meglio. Abbandono. Strano, verrebbe da dire, che Gesù sperimenti l’abbandono, lui che è il Figlio di Dio. Ma quel bambino nato a Betlemme nell’incarnarsi è divenuto anche uomo.
Profondamente uomo. E ha saputo la nostra miseria, e il dolore, e ciò che è peggio forse della morte: l’abbandono. Il culmine della sofferenza umana attraversa Cristo, che è anche uomo, sulla Croce, e diventa un grido che riecheggia nei secoli. No, chi ha tutto, è sano, è ricco, è sazio, forse non capisce. Eppure, il mondo è pieno, ha detto Francesco, di «cristi abbandonati », «di popoli interi lasciati a se stessi», «di poveri che vivono agli incroci delle nostre strade e di cui non abbiamo il coraggio di incrociare lo sguardo ». (Osservate a un semaforo, a Milano o a Roma, quei ragazzi o quei vecchi migranti. C’è chi, al volante, nemmeno gira la testa. C’è chi allunga una moneta e tuttavia non guarda quegli uomini e quelle donne negli occhi – quasi con un confuso senso di vergogna). «Ma ci sono – ha continuato il Papa – anche tanti cristi abbandonati invisibili, nascosti, che vengono scartati coi guanti bianchi: bambini non nati, anziani lasciati soli, ammalati non visitati, disabili ignorati, giovani che sentono un grande vuoto dentro senza che alcuno ascolti davvero il loro grido di dolore».
Cristi invisibili: nel silenzio dei cortili in cui una volta tanti figli giocavano a pallone, nelle porte chiuse nei palazzi, schiuse con sospetto da chi, anziano e invalido, si sente ormai una preda. E tutti quei vecchi che il Covid si è portato via nelle Rsa o negli ospedali, spaventosamente soli? E i disabili che, con gli anni, perdono i genitori, quanto si sentono abbandonati in istituti magari puliti e ordinati, ma senza una faccia cara? Dentro a ogni città c’è la città degli abbandonati, che non si vede, o si intravvede, se si sta attenti: è il passo lento di un’anziana carica di borse troppo pesanti, è il viso apparentemente impassibile di certi quindicenni sul metrò, gli auricolari nelle orecchie, un videogame sullo smartphone, come in una cella, soli.
Città di cristi invisibili, ci disegna il Papa, di uomini che – come Cristo sulla croce – potrebbero gridare: «Padre, perché mi hai abbandonato?». (Se almeno credessero di avere un Padre. Se, almeno alcuni, non si pensassero figli di nessuno). In verità quel grido, in qualche momento della vita, abita ognuno di noi – a meno di essere veramente molto distratti. Su qualsiasi sito web poi li puoi trovare, gli abbandonati: è il piccolo corpo di un bambino che il Mediterraneo restituisce, sono i profughi in fuga dall’Ucraina nord-orientale, sono i figli dei popoli senza pace, gli yemeniti, i siriani. Uomini lontani, o molto vicini: muoiono nella casa accanto, e, al funerale, nessuno. La tentazione di non vedere i cristi di cui dice Francesco può essere forte, anche perché davanti a tanta mole di dolore ci si sente impotenti. Si preferirebbe non sapere.
Oppure la fede che ci è rimasta non sostiene lo scandalo, e qualcuno, come l’Ivan nei Fratelli Karamazov, pensa di restituire il biglietto di questa vita. Davanti a ogni nuova guerra, terremoto, persecuzione noi ci domandiamo: ma dov’è, Dio? E qualcuno lo pensa assente, sideralmente lontano – se non una fiaba per bambini. Il Papa ci ha ricordato però che Cristo « Ha provato l’abbandono per non lasciarci ostaggi della desolazione e stare al nostro fianco per sempre. L’ha fatto per me, per te, perché quando io, tu o chiunque altro si vede con le spalle al muro, perso in un vicolo cieco, sprofondato nell’abisso dell’abbandono, risucchiato nel vortice dei tanti “perché” senza risposta, ci sia una speranza».
E quindi quando vediamo un bambino affamato, o uno straniero miserabile su un marciapiede, non dovremmo chiederci, scandalizzati, «dov’è Dio?». Quel bambino, quel vecchio, quel povero venuto da lontano sono icona di Lui. Lui è lì. (Semmai in questi incontri potremmo chiederci: noi, dove siamo).