
Il fiordo di Nuuk, in Groenlandia - Vadim Nefedov/Icp
Ha detto che vuole la Groenlandia, e di averne bisogno per la pace. Donald Trump di certo non sta scherzando, questo lo abbiamo capito tutti. Il fatto è che non è solo. Perché tutti, in fondo, abbiamo bisogno di una Groenlandia in questo momento, anche se per guadagnare un altro tipo di pace: la necessità di una terra lontana, e che immaginiamo sconfinata, candida, silenziosa, bagnata da acque fredde e ghiacciata a tal punto da essere consolante.
Chi non vorrebbe una Groenlandia tutta per sé? Una vastità come spazio mentale, perché alle strette l’essere umano potrebbe convenire che, a differenza degli umanoidi, non è più tempo e più vita che desidera intimamente, ma più spazio. Se non attraversassimo oggi una storia di odio e conflitti, e drammi reali, ci sarebbe da rilevare un lato grottesco nelle circostanze psicoanalitiche della geopolitica: tutti reclamano terra, spazio, ne vogliono di più, per sé e per il popolo. Giacché quando a essere in gioco è la vitalità della popolazione, come ben sapevano gli storici antichi, allora la città erige bastioni e rafforza gli eserciti. Dunque ci si contendono le risorse e si va in cerca di nuovi spazi. Lo “spazio vitale” dell’espansione hitleriana? O l’asteroide del Piccolo Principe?
C’è qualcosa di storicamente attuale, e di sociale, in tutto questo. Il mondo forse non è ancora veramente uscito dalla pandemia del Covid. Cinque anni dopo potremmo essere ancora tutti ostaggio di un virus e costretti a una reclusione della quale non si scorge la fine: si potrebbe spiegare così il maggiore peso dell’aggressività globale e il bisogno collettivo e disperato d’aria, di spazio, fisico e non solo. Una Groenlandia ideale, appunto.
Chissà se aumenterà il turismo da quelle parti, adesso, eventuale esito tragicomico di una situazione a dir poco drammatica. Non sarebbe un bel segnale. Poter disporre di uno spazio sulla terra, muoversi in uno spazio, desiderare uno spazio o sapere di essere liberi di andarci quando si vuole, costruire un futuro in uno spazio nuovo: è la vita. Prospettiva meno cupa e accidiosa del culto della longevità. Tutto sta a come si realizza la messa a terra del desiderio di spazio: un pacchetto “tutto incluso” può emettere troppa CO2, pensiamoci, e non dare il necessario conforto.
Nel bianco silenzio, nella Groenlandia promessa, l’occasione è immaginare un passo più lento, respirare pulito, alleggerirsi dai tanti fardelli, riscoprire una preghiera essenziale. Ma può non essere sempre e soltanto così. Andare per ritrovarsi lo si fa una volta, ok, dopo è fuggire. Il grande spazio immaginario, la terra a tutti i costi, non è il luogo della pace, è semmai il posto dello stare in pace. No, la pace è relazione, dialogo, confronto, tensione comunitaria, ricerca della fratellanza.
«Alcuni dicono che il mondo finirà col fuoco, altri dicono nel ghiaccio», le meravigliose parole di Robert Frost, che l’odio lo conosceva «abbastanza bene» da sapere che anche il freddo «può bastare». E siamo proprio in una stagione di odio, se per parlare di pace sentiamo il bisogno di conquistare e difendere spazi. C’è del fuoco nel clima che scioglierà i ghiacci e che per qualche tempo farà rinascere l’erba nelle isole più fredde, e c’è troppo ghiaccio nelle relazioni odierne del mondo. In ogni caso, dovremmo trovare un modo per andare un po’ più d’accordo. Se qualcuno ha bisogno della Groenlandia, sappia che la desideriamo tutti. Finisse male, ci resta solo l’Antartide.