Ma adesso il 72% pensa che il Paese stia vincendo, e tra il 70 e l’80%, a seconda delle combinazioni, giudica inaccettabile un’eventuale rinuncia alla Crimea, alle quattro regioni occupate o l’adesione dell’Ucraina alla Nato. Ultimo ma non ultimo, il 77% pensa che la Russia debba perseguire la propria politica, a prescindere dal fatto che le sanzioni vengano revocate oppure no. Oggi, quindi, Putin non ha paura, nessuno lo chiama a rispondere e nessuno limita le sue azioni. Non deve quindi stupire se Putin, sfidando la rabbia di Donald Trump e le stilettate di Volodymyr Zelensky, ora traccheggia, gira intorno alle ipotesi di negoziato e, soprattutto, bada bene a non impegnarsi sul tema principale, ovvero la tregua con la cessazione delle ostilità. A questo punto, non è che gli prema un altro tre o cinque percento in più di territorio ucraino. Sta solo cercando di sfruttare i problemi altrui per ottenere le miglior condizioni. Dall’alto del Cremlino, Putin vede che la trattativa è tripartita.
Da un lato c’è la sua con Trump, da gestire con attenzione perché i rischi sono grandi, come si diceva, ma il “premio” finale può essere un reset delle relazioni con Washington a dispetto dell’Europa, un risultato fino a qualche tempo fa insperabile. Dall’altro lato, c’è la trattativa degli Usa con l’Ucraina, con Zelensky impegnato a difendersi dalle pretese trumpiane di cui il famoso e non ancora firmato accordo sulle terre rare è il simbolo. Nessuno sa bene se i giacimenti ucraini valgano davvero i 500 miliardi che la Casa Bianca assurdamente pretende come “risarcimento”. Ma l’accordo è prezioso per gli Usa dal punto di vista simbolico, perché vorrebbe dire ancorare l’Ucraina alla loro orbita lasciando però le grane e i costi agli europei. In più Trump, che si era presentato agli americani come l’uomo che avrebbe messo fine alle guerre, rischia piuttosto di accenderne di nuove, anche fuori dal Medio Oriente. L’Ucraina è il suo banco di prova, deve aver successo almeno lì. Zelensky tutte queste cose le sa bene e proprio per questo evita di mettere la firma sull’accordo, correndo però a sua volta il rischio che Trump prenda una qualche decisione delle sue (l’interruzione degli aiuti, per esempio, come già fatto anche se per poche ore) e magari anche che possa collassare il fronte interno, non tanto dal punto di vista militare ma da quello politico.
Trump e i suoi, che pure fanno gli sdegnati se Putin ne chiede l’allontanamento, palesemente non lo amano, hanno già preso contatti con oppositori storici come la Tymoshenko e Poroshenko e premono perché Zelensky convochi elezioni che però presuppongono la revoca della legge marziale, cosa che a sua volta richiede almeno una tregua con la Russia. Difficile che tutto questo possa succedere entro l’estate, come si dice. Putin sta cercando di scombinare le carte di un puzzle già molto complicato, per guadagnare il massimo dalla composizione della crisi da lui stesso accesa. Alla fine si siederà al tavolo delle trattative. Ma solo quando sarà sicuro di non poter lucrare nulla più di quanto avrà già ottenuto.