
Jean Baptiste Gamene con i fedeli della parrocchia di Ravaldino, a Forlì - .
Che in una parrocchia italiana vi sia un sacerdote africano a svolgere servizio pastorale, da molti anni non è più una notizia. Se però questo prete ha più di cinquanta fratelli, trentasei dei quali ancora in vita (più alcune centinaia di nipoti), ed è figlio di un uomo con nove mogli, questo sì, fa ancora notizia. A completare lo scenario: il fatto che questo prete sia stato musulmano fino all’età di 14 anni, quando si è convertito al cristianesimo, sentendo parlare della Vergine Maria dalla mamma islamica che gli mostrava un’immagine della Madonna in una medaglietta. Protagonista di questa storia è don Jean Baptiste Gamene, 58 anni, del Burkina Faso, da pochi mesi collaboratore di don Nino Nicotra, parroco della Basilica di San Mercuriale di Forlì e dell’Unità pastorale del centro storico della città romagnola. Alla fine dello scorso giugno, don Jean Baptiste arriva a Forlì, nel cui Seminario vescovile aveva soggiornato come ospite per un breve periodo nel 2004, durante una visita al fratello Jean Pierre, in città per lavoro. «In seminario – racconta il sacerdote – conobbi don Dino Zattini, allora rettore e vicario generale della diocesi di Forlì-Bertinoro, col quale nacque un’amicizia fraterna. Così, quando vent’anni dopo ho deciso di fare una nuova esperienza pastorale, ho chiesto di venire proprio a Forlì. Dopo due mesi nella città marchigiana di Urbania a studiare italiano, presso il Centro Studi Italiani per stranieri, dal 14 settembre scorso mi trovo a Forlì».

Jean Baptiste Gamene con papà Allassane e mamma Zenabo - .
Don Jean Baptiste, perché ha deciso di venire in Italia?
«Nel 2022, in occasione del 25° di sacerdozio, ho chiesto al mio vescovo di scoprire una dimensione diversa della pastorale e della realtà umana. Ed eccomi a Forlì, dove mi ero trovato bene con la comunità del seminario».
Andiamo alle sue origini nel dipartimento e nella città di Garango, 137mila abitanti a 165 chilometri dalla capitale Ouagadougou. Lei è nato nel 1967: in quale famiglia è venuto al mondo ed è cresciuto?
«Mio padre Allassane, morto da ventisei anni, era di religione islamica e dirigeva una grande azienda agricola. Durante la Seconda Guerra mondiale ha combattuto in Francia, dove ha imparato la cultura della tolleranza religiosa, con amici cristiani a Parigi e a Lourdes, dove si era recato per visitare la Grotta delle Apparizioni. Quando è tornato a casa, voleva la libertà per i figli e fu il primo in città a mandarli alla scuola dei bianchi. Voleva figli militari, gendarmi e sacerdoti. Solo io sono diventato prete».
Com’è nata la sua vocazione?
«Fino a 14 anni sono stato musulmano. All’età di 6-7 anni mia mamma Zenabo, musulmana, mi parlò di una medaglietta miracolosa della Vergine Maria, ricevuta dai Padri Bianchi, presso i quali poi frequentai la scuola tecnica, ricordandomi della raccomandazione della mamma: “Prendi la medaglia della Vergine Maria”. Così iniziai a frequentare la formazione cristiana, Messa compresa, finché un giorno...».
Che accadde?
«Sentii un sacerdote leggere e spiegare il Vangelo talmente bene che mi disse: “Voglio diventare come lui, perché conosce bene Dio e l’uomo”. Allora chiesi il battesimo. Avevo 14 anni».
Dopo il Battesimo e la scuola tecnica, ha seguito gli studi, con borse di studio, per undici anni nel Seminario dell’arcidiocesi di Koupéla. Poi?
«Dopo l’ordinazione sacerdotale a trent’anni, sono stato aiuto parroco a Zabré, nella Cattedrale di Manga, a Salambaore e poi parroco nella diocesi di Tenkodogo a Boussouma (60mila abitanti) e dal 2021 al 2024 a Bittou (90mila abitanti), fino alla partenza per l’Italia».
Oltre che per il fatto di avere amici a Forlì, perché ha scelto l’Italia?
«Voglio conoscere una pastorale e una Chiesa diversa da quella della cultura francofona e africana e quella italiana m’interessa molto».
Contento di questi primi mesi?
«Per un anno devo guardare, capire e poi agire. Qui la pastorale è molto diversa, perché diversa è la società e la cultura».
Qualche esempio?
«L’ultima mia parrocchia in Burkina Faso è di 90mila abitanti e si basa su 86 comunità cristiane di base, ognuna con un responsabile. Si celebra una sola Messa la domenica e la gente percorre anche tanti chilometri. Qui in Italia si celebrano ancora tante Messe in chiese vicine. I ragazzi della catechesi da noi sono molto liberi negli spostamenti e negli orari. Qui devono essere sempre accompagnati dai genitori e con orari rigidi».
Quindi?
«La grandezza della Chiesa cattolica sta nella ricchezza delle diversità e io sto vivendo questa esperienza arricchente anche dal punto di vista personale».
Com’è attualmente il dialogo interreligioso “nella grande famiglia” con i suoi 36 fratelli?
«Nel rispetto e nella comprensione. Con mia mamma è sempre stato ottimo, tanto che prima di morire nel 2015 mi ha chiesto di essere battezzata, il più bel dono che Dio ha fatto ad entrambi».