Ancora sul Sinodo e sul perché la dialettica è didattica
domenica 6 aprile 2025

Una sintesi destinata ad orientare la formulazione ecclesiale di una progettualità condivisa, si immagina, ragionevolmente, di dover descrivere, con il linguaggio più largamente condiviso, gli argomenti destinati alla messa a punto. L’assemblea che deve, legittimamente, pronunciarsi sulla idoneità di quella sintesi, segnala francamente e coralmente la sostanziale insufficienza della restituzione del processo di confronto già avvenuto. I responsabili del servizio di allestimento dello strumento di sintesi prendono atto, lealmente e responsabilmente, della recezione profondamente insoddisfatta del testo. Il tempo necessario e il lavoro richiesto saranno messi a disposizione senza ristrettezze, rinviando – circostanza non banale – l’appuntamento assembleare della stessa Conferenza episcopale.

Benvenuti nell’era della sinodalità ecclesiale. L’intonazione di questi passaggi, piuttosto inedita delle relazioni istituzionali dell’apparato ecclesiale, sarebbe stato immaginabile in precedenza. Un progetto di revisione e di aggiornamento pastorale della forma ecclesiale è autorevolmente esposto alla valutazione sinodale del suo stesso “inventario”. Un’assemblea sinodale lo giudica “inadeguato” e chiede tempo per riformularlo, senza interrompere il processo di confronto condiviso. L’autorità responsabile ascolta le ragioni della inadeguatezza e dispone le condizioni di un ascolto più adeguato. Nessun muro contro muro, che mette in stallo fra loro le proposizioni e l’insoddisfazione. La dialettica non si irrigidisce in competizione fra gli opposti, si apre alla trasformazione dell’intero.

In effetti, nell’orizzonte della sinodalità la dialettica è didattica. Dalla dialettica non si estrae la competizione che punta all’esclusione, bensì l’approfondimento che cerca la condivisione. La dialettica fornisce materia all’ascolto reciproco: e in questo modo va vissuta, nella sua postura sinodale.

Quando la funzione didascalica della dialettica viene interrotta, o irrigidita in competizione, allora l’appropriazione comunitaria di ciò che lo Spirito dice alle chiese, in vista della gioia ritrovata della fede che ci unisce, si allontana. Naturalmente, la dialettica (il dialogo, la discussione) non è fine a sé stessa. Lo dico nel senso forte, alludendo ad una eccitazione del dibattito che va a prendere il posto della passione per la fede. L’universo dei media, assai predisposto a trarre lucro da questa sostituzione, ha cercato in tutti modi di montare un caso: per la prima volta, forse, senza troppo successo. I soggetti stessi, piuttosto concordemente, direi, si sono sottratti: mostrando di aver comunque vissuto una certa normalità sinodale della dialettica, e non un una crisi parlamentare della fiducia.

La soddisfazione condivisa, alla fine, rimanda proprio all’esperienza di una dialettica che ha funzionato in modalità sinodale, creando convergenza sulla necessità di un lavoro migliore, riconosciuta da tutte le parti. E non solo convergenza riconosciuta, bensì goduta, per così dire, come motivo di soddisfazione per la riuscita “sinodale” di un discernimento che, in altre circostanze avrebbe seminato barriere di risentimento e prodotto pulsioni alla forzatura.

Lo Spirito non scompiglia soltanto le carte, per il puro gusto dell’imprevisto. Lo Spirito suggerisce anche un ordine migliore degli appunti: creando convergenza intorno alle passioni liete di un’intelligenza più fedele e perciò stesso più creativa, della Parola. Lo Spirito trae armonia anche dal contrappunto. Lo dicevamo anche prima dell’avvento della sinodalità, certo, ma ne avevamo un po’ perso l’abitudine. Piano piano, la dialettica di questo ascolto sinodale diventerà abitudine. Non entreremo in confusione nei passaggi della dialettica dello Spirito, e non perderemo i doni della pace del Signore. Impareremo anche una migliore economia dello spazio e del tempo. Diventeremo sempre più bravi a non saturare gli spazi e i tempi della vita ecclesiale con l’ossessione per l’implementazione della comunità ideale, che mette in modalità di attesa infinita la missione e la testimonianza.

Prendersi cura, tutti insieme, della Chiesa del Signore, è dovere sacrosanto. Ma non aspetteremo di aver edificato la comunità perfetta, per trasmettere la bellezza della fede ricevuta. La proporzione evangelica dell’impegno sinodale della Chiesa è quella che non la distrae dalla trasmissione della fede che salva: quella che, anzitutto, guarisce il delirio della potenza e della perfezione di cui la creatura – anche quella religiosa – periodicamente si ammala.


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