
Una giovane Antonia Salzano con il piccolo Carlo Acutis - .
Da anni Antonia Salzano vive ad Assisi. Si è trasferita da Milano non solo per sfuggire al turbinio della metropoli in cui abitava con la famiglia, ma anche per riavvicinarsi a suo figlio, Carlo Acutis, morto nel 2006 all’età di 15 anni per una leucemia fulminante, il cui corpo è stato trasferito nella città di san Francesco nel 2007 e ora è custodito dentro al santuario della Spogliazione. In una villetta immersa nel verde, lungo la via che conduce all’eremo delle Carceri, Salzano attende il prossimo 27 aprile quando a Roma suo figlio, già beato, sarà proclamato santo. E aspetta, apparentemente, senza stravolgere la propria routine da madre di due gemelli di 15 anni. Eppure, a osservarle da vicino, le giornate di Antonia Salzano non hanno niente di regolare: «Mi stanno chiedendo interviste ogni giorno – confessa ad Avvenire mentre si accomoda sul divano di casa propria –. Nel tempo, sono arrivati giornalisti da tutto il mondo, anche dalla Bbc o dal Financial Times». Il tempo libero è poco: le settimane scorrono tra il lavoro da portare avanti, la cura dei figli e il «pensare a Carlo». Ma, quando trova momenti per rilassarsi, ammette di provare una grande emozione per la canonizzazione del figlio: «Credo che il Signore stia facendo di Carlo un suo strumento», spiega.
In casa Salzano tutto, in effetti, parla di Carlo Acutis: dai libri sulla sua vita, alle cartoline, ai quadri e alle fotografie appese ovunque. Nella maggior parte di queste Carlo ha sullo sfondo Assisi, dove ogni anno trascorreva le vacanze estive. In poche altre si trova a Milano e in nessuna a Londra, dove il Beato ha i natali: «Ha vissuto pochissimo in Inghilterra, ci siamo trasferiti a Milano quando aveva tre o quattro mesi di vita», spiega la madre. L’infanzia e l’adolescenza di Carlo erano simili a quelle dei suoi coetanei: la mattina dedicata alla scuola, il pomeriggio allo studio e il tempo libero allo sport. Li ha provati quasi tutti: «Ha fatto karate, tennis, sci, basket, nuoto e calcio – elenca la madre –. In particolare, aveva simpatia per il Milan, ma non era un tifoso accanito. Non mi ha mai chiesto di portarlo allo stadio».
La sua non era una famiglia come le altre. Il padre, Andrea Acutis, è presidente di Vittoria Assicurazioni e il nonno Carlo, omonimo, ne è ancora il proprietario. Eppure, Carlo ha sempre mantenuto un «profilo basso»: «Nessuno sapeva chi fosse – commenta Antonia Salzano –. Il parroco lo ha scoperto solo al momento della sua morte dalla pila di giornali che gli è arrivata sul tavolo». E il motivo è quello che sua madre riassume in una parola che ripete spesso: essenzialità. «Andava in giro con una bicicletta rotta, non parlava mai di sé e, quando volevo comprargli un paio di scarpe in più, mi rispondeva “che me ne faccio?”. Così, a volte, le acquistavo di nascosto». Non solo: spesso quei «soldi regalati dai nonni abbienti e dagli zii ricchi» - così li definisce la madre – Carlo li spendeva per aiutare le persone indigenti che incontrava sulle strade del suo quartiere. «Li conosceva per nome – racconta – e portava loro sacchi a pelo, coperte, vestiti e pasti caldi». La madre lo accompagnava sempre in questi «gesti di Caritas domestica» e, anche per questo, lo ricorda come «un ragazzo obbedientissimo, a cui non c’era mai il bisogno di fare una sgridata».
L’adolescenza di Carlo, però, non è trascorsa senza sofferenze. Le sue incertezze e insicurezze da quindicenne, secondo il racconto di Antonia Salzano, le confessava spesso alla madre: «Era consapevole della sua fragilità, mi ha detto molte volte di essersi sentito solo, perché con i suoi amichetti faticava a parlare. Capitava che fossero come dei muri di gomma». Per Salzano, era l’attitudine di Carlo, già impegnato quotidianamente nella preghiera e nell’adorazione eucaristica, a non essere compresa dai suoi coetanei. Durante gli anni del liceo, in effetti, suo figlio già coltivava qualche progetto per la vita adulta: «L’anno in cui è morto – confessa la madre – eravamo a Santa Margherita Ligure e lui mi chiese: “Ma tu che ne penseresti se io mi facessi sacerdote?”. Gli dissi che, se lui si fosse sentito di percorrere quella strada, io ne sarei stata contenta. E la stessa domanda l’aveva fatta anche alla nonna, come mi confidò in seguito». Un pensiero che sarebbe stato stroncato solo dalla morte, giunta nell’ottobre del 2006. A cui Antonia Salzano, a distanza di quasi vent’anni, accenna con voce ferma e con il sorriso: «Carlo mi ha insegnato a credere nell’Eucarestia, che ora mi guida. Non l’ho vissuta come una fine ma come una separazione».