lunedì 14 aprile 2025
L'esclusione dai dazi di smartphone, pc e router è un primo segnale di distensione. Ma è il fronte interno a preoccupare il presidente, che ha visto la sua popolarità scendere dopo il caos nelle Borse
Donald Trump mentre sta per salire sull'Air Force One

Donald Trump mentre sta per salire sull'Air Force One - Ansa

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Da un lato il tira e molla sui dazi, con perdite consistenti sui listini azionari globali, l’incertezza diffusa, la fuga dai titoli di Stato americani; dall’altro il protrarsi del braccio di ferro con la Cina, il rischio di una recessione all’orizzonte, l’indebolimento del dollaro e i primi segnali nei sondaggi di un calo di popolarità. Eppure Donald Trump, in Florida per il weekend dopo una febbrile settimana a Washington, continua a ostentare ottimismo: non solo si dice fiducioso in un accordo con la Cina – unico Paese contro cui sono in vigore dazi reciproci Usa al 145%, contro il 125% stabilito dai cinesi –, ma sottolinea anche che il «fantastico» dollaro sarà sempre «la valuta preferita».

Benvenuti nel mondo di Trump, un mondo in cui non c’è spazio per dubbi o incertezze e in cui gli Stati Uniti sono sempre «in un’ottima posizione». Anche per quanto riguarda i bond, andati a picco nei giorni scorsi: «Il mercato obbligazionario sta andando bene, abbiamo avuto un piccolo momento ma io ho risolto molto velocemente il problema». Con la stessa Cina, è convinzione del presidente Usa, «arriveremo a qualcosa di positivo», senza contare che gli Usa hanno già avviato negoziati «con molti Paesi» per i dazi. A questo proposito, a Washington è tornato anche il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic per un nuovo round negoziale sui dazi, in agenda domani con il segretario di Stato al Commercio Usa Howard Lutnick dopo la pausa sulle tariffe doganali reciproche. L’Ue è pronta a difendersi dalle tariffe Usa, anche se l’obiettivo resta quello di evitare lo scontro frontale e trattare.

Si profila invece un duello più prolungato con la Cina e, parallelamente, un periodo di volatilità sui mercati, mentre investitori ed esperti lanciano l’allarme sull’andamento dell’economia Usa. Nei giorni scorsi anche Larry Fink, presidente e ad di Blck Rock, la più grande società di gestione patrimoniale al mondo, ha ammesso che gli Usa sono «vicini a una recessione» con «un’attività economica che rallenta finché non ci sarà più certezza». Il sentiment dei consumatori americani misurato dall'Università del Michigan è crollato ad aprile a 50,8, il livello più basso da giugno 2022, proprio a causa delle crescenti preoccupazioni per gli sviluppi della guerra commerciale. Tra i tanti segnali d’allarme dei consumatori, le aspettative sulle condizioni aziendali, le finanze personali, i redditi, l'inflazione e il mercato del lavoro.

Le tensioni restano alte anche sul dollaro e sul mercato dei Treasury, dove l'ondata di vendite fa volare i rendimenti. Un trend al rialzo che preoccupa gli analisti perché sembra indicare il trattamento dei titoli di stato americani come “asset rischiosi” e non più come il bene rifugio per eccellenza insieme all'oro. Il dollaro invece continua a perdere terreno nei confronti delle principali valute e scivola ai minimi da tre anni, segnalando una potenziale crisi di fiducia nei confronti del biglietto verde. Fra le grandi banche di Wall Street è evidente la difficoltà di prevedere le mosse di Trump e quindi il loro impatto. Durante le conference call di JPMorgan, Wells Fargo e Morgan Stanley – i tre istituti che hanno alzato il velo sulle loro trimestrali – le parole “incertezza” e “turbolenza” hanno avuto un ruolo da protagoniste. Jamie Dimon, il numero uno di JPMorgan e uno dei manager più ascoltati da Trump, non ha nascosto che «l’economia sta attraversando una notevole turbolenza». E ha citato fra le possibili «negatività» i dazi, la guerra commerciale, l’inflazione persistente e l’elevato deficit.

In allerta resta la Fed, pronta a intervenire in caso di necessità e che vede probabile un aumento dell’inflazione Usa al 3,5-4% a causa dei dazi. La guerra commerciale con Pechino potrebbe bloccare gran parte dei 582 miliardi di dollari di scambi di merci tra i due Paesi e già emergono segnali di cancellazioni di ordini da parte delle fabbriche Usa, mentre alcuni produttori cinesi stanno mettendo i lavoratori in congedo temporaneo. I rischi, a cascata, riguarderebbero tutta l’economia globale.
Un primo segnale di minimo ammorbidimento sul fronte cinese è arrivato l’altra sera da un avviso pubblicato dalla Customs and Border Patrol statunitense, l’autorità responsabile della riscossione dei dazi. L'amministrazione Trump ha infatti escluso gli smartphone, alcuni computer e altri dispositivi come i router dai dazi reciproci. Le linee guida pubblicate dall’autorità doganale statunitense esenta anche i macchinari utilizzati per produrre semiconduttori, televisori a schermo piatto, tablet e computer sia dai dazi contro la Cina che dalle tariffe del 10% imposte da Trump ai Paesi di tutto il mondo. La mossa dell'amministrazione americana potrebbe avvantaggiare aziende americane come Apple, Samsung, HP, Dell e Microsoft che producono parti dei loro prodotti elettronici al di fuori degli Stati Uniti. In particolare, Apple concentra in Cina la sua catena di approvvigionamento e, secondo gli analisti, l'80% degli Iphone sarebbero ancora made in China, nonostante l'azienda stia lavorando per spostare parte della produzione in India.

Il presidente cinese Xi Jinping ha intanto lanciato la proposta all’Ue di unire le forze a difesa della globalizzazione e del multilateralismo contro il «bullismo» della Casa Bianca. Questa settimana, Xi sarà in Vietnam, Malaysia e Cambogia, tre dei dieci Paesi del blocco dell'Asean tra i più colpiti dazi di Trump sospesi per 90 giorni. Il presidente Usa è però convinto di spuntarla, in questo braccio di ferro che rischia di non avere vincitori. Per ora, il duello sulle tariffe sembra certo non aver giovato alla sua immagina. Nei sondaggi il 51 per cento degli americani interpellati in un rilevamento The Economist/YouGov ne disapprova l'operato, mentre il 43 per cento lo approva. Lo stesso sondaggio due settimane fa aveva visto l'opinione pubblica divisa: 48 per cento favorevoli e 49 per cento sfavorevoli. La rilevazione ha toccato anche la questione dei dazi: il 52 per cento è contrario alle misure adottate. E rischiano di essere molti di più se, come paventato fagli analisti, gli effetti delle tariffe si faranno sentire soprattutto sulle tasche degli americani.

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