domenica 6 aprile 2025
Parole e numeri che si sono ascoltate e visti in questa intensa settimana vanno capiti, prima di trarre conclusioni affrettate. Analizziamoli uno per uno
Un carrello della spesa negli Stati Uniti

Un carrello della spesa negli Stati Uniti - Ansa

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Nella tempesta dei dazi, parole e numeri hanno significati e conseguenze molto diversi. Da questa distinzione bisogna partire per provare a orientarsi. La rappresentazione allestita alla Casa Bianca da Donald Trump mercoledì scorso era centrata su un tema economico – i rapporti di forza nei commerci internazionali – e l’ormai celebre lavagna con la specificazione per Paese elencava le cifre che hanno messo in allarme imprenditori e nazioni, quindi fatto crollare di schianto le Borse. D’altra parte, l’evento era chiamato “Giorno della liberazione”. Uno slogan tutto politico. E tutto riferito all’inveramento di una promessa simbolica, al di là dei suoi effetti reali. La logica dietro le tariffe è debole, i loro effetti saranno quasi certamente dannosi per ciascuno dei soggetti coinvolti, ed è difficile pensare che la stessa Amministrazione repubblicana non se ne renda conto.

Se ribaltiamo la prospettiva e vediamo nella penalizzazione delle importazioni estere non uno strumento per riequilibrare i conti americani bensì un’azione strategica, per quanto discutibile, allora la situazione si fa un po’ più chiara. Anche i dettagli aiutano. Tra i 60 Paesi colpiti, nessuna “sanzione” verso Mosca, mentre risulterebbero barriere più alte per l’Ucraina. Paradossale, alla luce degli ultimi tre anni. Comprensibile se inquadrato nel progetto portato avanti dal tycoon, che è tipicamente isolazionista. Ma di un nuovo tipo. La dottrina secondo cui gli Stati Uniti dovevano evitare il coinvolgimento nelle dispute e nelle alleanze politiche e militari europee (e degli altri continenti), concentrandosi sulla difesa dei propri interessi entro i confini nazionali o nel proprio “emisfero” ebbe la sua stagione d’oro dopo la Prima guerra mondiale. L’America rifiutò di aderire alla Società delle Nazioni, proposta dal suo stesso presidente Wilson, e il Congresso respinse il trattato di pace firmato a Versailles. Furono varate leggi restrittive sull’immigrazione e introdotti forti dazi con lo Smoot-Hawley Act (1930). Oggi non è più possibile chiudersi nell’orizzonte nazionale e prosperare occupandosi solo del proprio cortile. La globalizzazione – con i suoi grandi benefici e le sue criticità – rappresenta una realtà concreta e irreversibile, sia sul lungo periodo sia dalla svolta del 1990, a seguito della caduta del blocco sovietico. Se si registrano andamenti ciclici congiunturali – la crisi finanziaria del 2008, la pandemia da Covid-19 –, l’“appiattimento del mondo” non è più in discussione. Perché vi sono diverse dimensioni del modo in cui il Pianeta si è fatto interconnesso. Seguendo il noto modello dell’antropologo Arjun Appadurai, esistono cinque scapes, “paesaggi globali” intesi come flussi dinamici – di persone, beni e tecnologia, idee, denaro e informazione – che attraversano le frontiere in maniera disgiunta e non sincronizzata. Si può provare a fermarne qualcuno, impossibile bloccarli tutti, soprattutto quando sono immateriali.

Per comandare il gioco serve allora un potere forte esercitato anche all’esterno, per non venire sfidati da altri attori sullo scacchiere internazionale. In questo senso, la Cina costituisce la grande rivale degli Stati Uniti, in misura minore lo è l’Europa. Agli occhi americani, la Russia sembra rimanere implicitamente quella “potenza regionale”, come la definì Barack Obama nel 2014, rafforzando i desideri di rivalsa di Vladimir Putin. E perciò – nelle intenzioni Usa – si può provare a sfruttarne la sponda quando serve, malgrado l’impronta imperialistica che il Cremlino ha dato alla sua proiezione verso Occidente. I dazi a stelle e strisce possono pertanto leggersi soprattutto quale mossa politica dentro una cornice più ampia. La conseguenza principale di cui la Casa Bianca potrà presto rallegrarsi non sarà quella economica – negativa al 99% –, piuttosto la fila di leader che verranno con il cappello in mano a negoziare riduzioni delle tariffe, offrendo in cambio qualcosa che può valere per Trump di più dello stop a formaggi e vini della tanto vituperata Ue. L’ambizione è quella di avere leve per tentare di regolare tutti quei flussi che minacciano l’idea di un’America di nuovo grande non solo in termini di crescita, ma anche di composizione etnica, società, cultura, valori e ordinamenti.

L’impianto della globalizzazione resisterà alle tariffe del 2 aprile. Semmai si intensificheranno altre rotte rispetto alle attuali, come giustamente anche l’Italia cerca di fare per i propri prodotti. In discussione è invece la ridefinizione degli equilibri più vasti, con l’esplicito tentativo di rompere l’ordine liberale a favore di un solo attore, interessato a indebolire (ex) alleati e nuovi sfidanti con un cinico progetto di nuovi egoismi nazionali. Va comunque ricordato che non che tutti i mali vengono con Donald Trump. Sappiamo, infatti, come l’internazionalismo dei mercati abbia prodotto anche la “globalizzazione dell’indifferenza”, denunciata da Papa Francesco fin dalla Evangelii gaudium. E che, dazi o non dazi, il dialogo tra popoli e culture, la difesa dei diritti umani universali, un’economia inclusiva e più attenta alla persona, la costruzione della pace globale e la salvaguardia delle differenze restano brucianti urgenze in un mondo più interconnesso eppure abitato ancora da tante ingiustizie e violenze.

La reazione europea alla sfida cruciale di questa crisi inedita sarà dunque particolarmente importante. Servono certo risposte sul piano economico. Abbiamo bisogno, tuttavia, di visioni politiche e strategiche per contrapporre alla curvatura protezionistica e strumentale della globalizzazione proposta dal nuovo modello americano una globalizzazione virtuosa e animata da diritti e spirito universalistico. A volte semplici riforme non bastano. Ci sono trasformazioni che sono sollecitate dalle circostanze e portano a intraprendere strade nuove. Questo potrebbe essere uno di quei momenti. Vedere dietro i numeri il significato delle parole ci aiuterà a cogliere ciò che di essenziale pare essere oggi in gioco.

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