venerdì 4 aprile 2025
Messa al cospetto delle Proposizioni, l’Assemblea non si è riconosciuta in esse e lo ha detto, con franchezza generosa e talvolta impetuosa. Lo ha detto con parresia. Lo ha detto profeticamente
L'assemblea sinodale della Chiesa italiana

L'assemblea sinodale della Chiesa italiana - ANSA

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Non è che negli ambienti ecclesiali non si apprezzi la libertà di parola, si diceva una volta: basta che la si eserciti in greco antico. Il riferimento era all’uso insistente del termine “parresia”, che del resto non rappresenta affatto un’esclusiva del linguaggio pastorale. Si tratta, per esempio, di un concetto centrale nella riflessione di Michel Foucault, pensatore del tutto estraneo a qualsiasi sospetto di simpatie clericali. La parresia è la libertà di parola, appunto, ma più in profondità è il riconoscimento della libertà in quanto tale. Per la mentalità classica, il diritto a far valere la propria voce è caratteristico del cittadino, non dello schiavo. La declinazione teologica della parresia trae origine da questa condizione di affrancamento: liberato da Cristo, il cristiano è autorizzato e addirittura spronato a parlare liberamente. Per essere più precisi, è esortato a «dare ragione della speranza», secondo la felice espressione della Prima lettera di Pietro.

Da ieri mattina, la battuta sulle lingue morte non ha più corso, perché quello che è successo negli ultimi giorni a Roma, durante i lavori della Seconda assemblea sinodale delle Chiese in Italia, dimostra come la parresia sia divenuta una prassi indiscutibile e non sia più un generico auspicio. Per qualcuno sarà una sorpresa, per chi ha partecipato agli ormai quattro anni del Cammino sinodale è una conferma. La parresia è l’eredità più riconoscibile dell’avvio del processo, quella “fase narrativa” che ha introdotto nelle comunità cristiane il metodo della “conversazione nello spirito”.

Che è conversazione, sì, e cioè disponibilità a raccontarsi, perfino a esporsi. Ma avviene nello spirito, e quindi è anzitutto ascolto, accoglienza dell’altro, pazienza nella ricerca di una risposta che appare tanto più sfuggente quanto più è radicale la domanda che l’ha suscitata. Già nel passaggio alla seconda fase, definita come “sapienziale”, era forte la consapevolezza di quanto prezioso fosse il patrimonio sedimentato nella pratica narrativa. Qualcuno si preoccupava che l’abitudine alla conversazione nello spirito si affievolisse, ma la libertà tende a essere irreversibile, irrinunciabile, tenace.

Un’altra parola di origine greca, profezia, è il riferimento della terza fase del Cammino Sinodale. Più breve delle altre, almeno nelle aspettative, è quella decisiva, nel senso che è deputata a prendere decisioni concrete. In sostanza, l’Assemblea sinodale di questa settimana avrebbe dovuto emendare e approvare le cinquanta Proposizioni redatte sulla scorta della ricca documentazione fin qui prodotta. Ma sia i Lineamenti sia lo Strumento di lavoro del Cammino sinodale italiano parlano con una voce forse ancora troppo nuova per essere recepita nella sua specificità. Messa al cospetto delle Proposizioni, l’Assemblea non si è riconosciuta in esse e lo ha detto, con franchezza generosa e talvolta impetuosa. Lo ha detto con parresia. Lo ha detto profeticamente.

Questo è il punto più delicato, a proposito del quale l’equivoco è stato sfiorato e, da ultimo, superato. Rivendicare la necessità della profezia non implica la pretesa di prevedere o addirittura conoscere il futuro. Al contrario, e a rigore di etimologia, il profeta è colui che interpreta il presente nella prospettiva di una sapienza spirituale che, di nuovo, lo spinge a prendere la parola, senza preoccuparsi di opportunità e inopportunità, senza farsi mettere in soggezione da ruoli o qualifiche.

Profetica, oltre che pienamente improntata a una logica di parresia, è la parola di papa Francesco, che nel discorso rivolto il 25 maggio 2023 ai referenti del Cammino sinodale italiano aveva ricordato: «Pensate al processo degli Apostoli la mattina di Pentecoste: quella mattina era peggio! Disordine totale! E chi ha provocato quel “peggio” è lo Spirito: Lui è bravo a fare queste cose, il disordine, per smuovere... Ma lo stesso Spirito che ha provocato questo ha provocato l’armonia. Entrambe le cose sono fatte dallo Spirito, Lui è il protagonista, è Lui che fa queste cose. Non bisogna avere paura quando ci sono disordini provocati dallo Spirito». Non casualmente, l’incontro del 2023 avveniva in Vaticano, nell’Aula Paolo VI, la stessa dove ieri il presidente della Conferenza episcopale italiano, il cardinale Matteo Maria Zuppi, ha annunciato che le Proposizioni saranno completamente rielaborate attraverso un innovativo processo di collaborazione e condivisione. Per il voto ci si rivedrà tra più di sei mesi, il 25 ottobre. Ci vuole tempo, per intendere la profezia. Ed è sempre il momento buono per praticare la parresia.

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