venerdì 28 marzo 2025
Gli studenti analizzano la discussa serie tv di Netflix, dalle fragilità di una generazione alla pressione sociale fino al dialogo difficile in famiglia che riguarda gli adolescenti
Una scena della serie tv «Adolescence»

Una scena della serie tv «Adolescence» - Ben Blackall/Netflix / Fotogramma

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«Non ero pronta a vedere una storia così violenta eppure così normale oggi. La necessità di sentirsi accettati non si nega e non è solo della mia generazione. Avere le proprie idee, diverse dagli altri, è difficile. Devi essere brava a scuola, educata, obbediente a casa, tra i compagni furba e vestita in un certo modo; devi piacere e condividere storie nel posto giusto. Senza uno di questi requisiti, la vita potrebbe diventare un inferno e per colpa dei social non c’è un posto dove nascondersi. Mi ha sconvolta l'incapacità del protagonista di capire che aveva un’altra scelta. Mi ha spaventato che nessuno abbia chiesto aiuto agli adulti e che essi siano così ciechi e sordi. Questa serie non dà speranze!».

Sono le parole di Ludovica, una delle alunne a cui ho chiesto pareri su Adolescence, e le fanno eco quelle altrettanto intense di Nina: «La serie purtroppo è più simile alla realtà di quanto si immagini. Un sistema in cui noi siamo chiuse in un mondo dove gli adulti non hanno il controllo che sono convinti di avere. Le caratteristiche principali che riconosco sono rabbia e paura, nella scuola sempre presenti; sappiamo che gli adulti “domineranno” o faranno di tutto per avere il controllo. Ma il nostro mondo ha un suo linguaggio, se vuoi farne parte, ci metterai tempo e impegno».

A lei si accorda con realismo Grazia: «Ciò che pensa la gente influisce tanto da dimenticare chi siamo, cosa vogliamo, portandoci ad inseguire l’irraggiungibile per essere accettati. Si ha paura di mostrare ciò che si è, benché originale; non è giusto dire che è colpa dei genitori se i figli non sono perfetti, siamo umani, è normale sbagliare e rivalutarsi. Abbiamo libertà di scegliere i pensieri da nutrire e chi essere. Molto potremmo prendere per giustificare le nostre azioni, ma ci muovono le emozioni profonde, come la paura di chi non sa cos’è l’amore, ma siccome non vuole essere diverso, “segue la massa” rischiando».

In generale mi ha sorpreso che la maggior parte abbia visto la serie solo dopo il mio input, mentre di solito sono loro a consigliarmele, comunque immedesimandosi come Davide: «Ho sentito un senso di inquietudine, come fossi dentro la storia, incapace di staccarmi. Non è la classica serie da compagnia, scuote e costringe a pensare. Mi ha fatto provare un misto di rabbia e impotenza, perché ogni scelta sembrava vera e lasciava emozioni forti. A volte mi sono sentito a disagio, altre ho provato empatia, come se le paure fossero mie».

Ad un’altra Ludovica, invece, sono sorte delle domande: «La colpa è dei genitori che vedono in noi ciò che non siamo? Si è così o sviluppiamo aggressività per il bullismo? Da un lato i genitori devono dialogare con noi e conoscere la nostra sfera affettiva, dall’altro l’integrazione favorisce lo sviluppo, perché crea autostima».

Giovanni, invece, è stato colpito dal fatto che proprio un suo coetaneo, senza l'aiuto dei genitori, ammetta la colpa: «Avrebbe dovuto ricevere sostegno, ma è stato abbandonato. Inoltre, non si tenta di recuperarlo, si tende a punirlo, lasciandolo solo. Dovremmo poter comprendere gli errori, pagarne le conseguenze, ma anche riabilitarci».

Di famiglia parla pure Marco: «Il contrasto a casa riesce ad isolarci, facendoci sentire soli, impotenti uditori di liti tra adulti. Così giungono delle “consolazioni” che ci distruggono: droga, bullismo, alcool, azzardo, atti criminali. Mi fa riflettere la fragilità umana e la delicatezza dei rapporti».

Le voci convergono sulla fragilità dell’età: «L’adolescenza narrata è in linea – dice Flavia – sia per forma che per problematiche al periodo di debolezza di tutti noi. I problemi ci sembrano insormontabili ed è semplice perdere la testa. La parte aggressiva sfogata sui social si scontra con le paure della realtà. Gli adulti cercano di difenderci, comprenderci, a volte rendendosi oppressivi, perché noi non vediamo il loro aiuto».

Invece, per certi aspetti non si è riconosciuta in pieno nella narrazione Vittoria: «La serie si concentra eccessivamente sulla realtà anglosassone, tralasciando le peculiarità di altre realtà adolescenziali, tuttavia ho trovato il fenomeno della mascolinità tossica, la disperata ricerca di approvazione, seguita da insulti e aggressività. I ragazzi si mostrano irriverenti e incuranti delle conseguenze, come riscontro spesso nei miei coetanei. La figura adulta è rappresentata in tutta la sua estraneità al nostro mondo e linguaggio».

Poi c’è Sofia che spezza una lancia per l’adolescenza e per gli adulti: «Da un lato mi rivedo in dinamiche come la “pressione sociale” o l’isolamento emotivo, che possono portare a gesti estremi per i social che amplificano le insicurezze; dall’altro, ritengo questa rappresentazione esagerata o concentrata solo sugli aspetti negativi dell’adolescenza escludendone altri come le amicizie, la ricerca di sé o la crescita personale. Gli adulti vengono rappresentati incapaci di comprendere il mondo dei ragazzi o di riuscire a intervenire, ma non tutti sono “ciechi” nella realtà».

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