«Penso a quei bambini nel buio, sotto un quintale di detriti»
sabato 29 marzo 2025

Quando vedo le immagini dell’annientamento di un terremoto, come a Myanmar venerdì, penso sempre a ciò che non vedo: a quelli là sotto, intrappolati, vivi, nel buio.
Quello stesso venerdì pomeriggio il bambino di mia figlia, 3 mesi, strillava tanto che lo si sentiva dal cortile: semplicemente aveva fame. Allora ho pensato a quanti ce ne sono che gridano così, cercando il seno della madre, a Myanmar, vivi sotto le macerie. Quell’idea mi ha trafitto: ecco, ciò che non vedo. I bambini nel buio, sotto a quintali di detriti. E, subito, l’ umana ribellione: perché Dio lo permette?
Quando nel gennaio del 2005, a una settimana dallo tsunami, arrivai in Indonesia, a Banda Aceh, dall’aereo vidi una infinita distesa di melma nera, e ponti divelti, e Tir contorti, come dalla mano di un gigante rabbioso. I superstiti, seduti sui gradini delle case, lasciavano che gli ultimi cadaveri galleggiassero nella mota: sfiniti, incapaci ormai di seppellirli. Nella regione i morti furono oltre 160 mila. In quel deserto incrociai una decrepita jeep incrostata di fango. La guidava un missionario italiano, romagnolo, forte, i capelli bianchi. L’unico cristiano ammesso in quella terra islamica integralista, perché si prendeva cura dei bambini handicappati. Attonita davanti a ciò che vedevo gli domandai: " Ma, perché?”
Il sacerdote, sporco di fango, esausto, si arrabbiò. " Ma lei è cristiana? Non lo sa allora che è il nostro male, il male di noi tutti, anche il suo e il mio, quello che esplode in queste calamità?".
Quel prete era partito dall’ Italia nei primi anni ‘60. Del " nostro male", dopo il ‘68, io bambina non avevo sentito molto parlare. Il nostro male, quanto: dalle guerre all’ odio all’ indifferenza, dall’invidia alla maldicenza, dall’omertà mafiosa agli aborti nel nome della legge. La risposta di quel missionario, nell’annientamento di Banda Aceh, mi aveva ammutolito.
Ma di nuovo, vent’anni dopo, immaginando i bambini sotto le macerie, torno a chiedermi con ribellione “perché”. Forse che non li sente piangere, Dio?
Taccio, sotto lo schiaffo della domanda che da sempre scuote gli uomini davanti al dolore. Incupita, distratta, faccio automaticamente le cose quotidiane.
Da Myamnar, dice il tg, ora si parla di decine di migliaia di morti. Vorrei potere spegnere dentro di me questo canale, questa informazione necessaria ma devastante.
Eppure. Qualunque sia il motore che squassa le faglie della terra e scatena gli uragani, tuttavia io sono che il mio Dio é con quelli là, nel buio. Cristo ancora in croce, accanto a ciascuno di quei bambini. E agli innocenti e ai peccatori, e anche ai peggiori. Nell’ annichilimento che fatico a guardare, io so che il mio Dio non abbandona nessuno. E che pregare non è un inutile niente, generosa superflua aria, come pensa il mondo. È invece essere con quelle madri, con quei figli. Perché qualcuno li senta, e arrivi a salvarli. O almeno perché, in tanto buio, un’ostinata speranza li custodisca dalla disperazione.

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