giovedì 15 novembre 2018
Lo dice la legge 38 del 2010, applicata sinora in modo parziale. Lo chiedono con forza gli specialisti Che rilanciano: «Ogni anno 500mila pazienti ne avrebbero bisogno»
«Le cure palliative, un diritto per tutti»
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Le cure palliative in Italia sono un diritto di tutti. È una legge a prevederlo, la numero 38 del 2010, che garantisce «l’accesso alle cure e alla terapia del dolore da parte del malato, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze». Eppure, a oggi, questo diritto resta in parte solo sulla carta e troppo spesso, a causa della mancanza di risorse, il malato viene lasciato da solo con la sua famiglia davanti al dramma del dolore.

A distanza di otto anni dall’entrata in vigore della legge esistono disparità sul territorio nazionale che gli stessi medici definiscono inaccettabili. Oggi si apre a Riccione il XXV Congresso nazionale della Società italiana di cure palliative (Sicp), i temi da trattare sono molti, riassunti nel titolo «Limiti e orizzonti nella cura». I limiti sono quelli dati dalla natura stessa, i limiti temporali della prognosi o del tempo disponibile per l’assistenza, ma sono anche i limiti degli spazi dedicati alla cura, o quelli delle terapie o delle risorse disponibili.

L’altra parola-chiave è «orizzonti» come stimolo al superamento dei limiti stessi: «La nostra sfida – spiega Luciano Orsi, vicepresidente Sicp – è proprio quella di espandere gli orizzonti tenendo conto dei limiti. Dobbiamo impegnarci nell’estensione delle cure ai malati non oncologici e nell’attivazione di cure precoci contro i sintomi, già negli ultimi due anni di vita, in contemporanea alle terapie dirette contro la malattia.

L’altra frontiera è quella formativa, perché le conoscenze di base devono diventare patrimonio di tutti i sanitari e non solo dei palliativisti, per poter gestire i bisogni in modo capillare e tempestivo». Alla base c’è una concezione contemporanea della medicina, che non prende in considerazione soltanto l’organo malato ma la persona che soffre nella sua interezza: «Noi lo chiamiamo 'dolore totale': le cure devono riguardare i bisogni fisici del paziente ma anche quelli psicologici, spirituali e sociali.

Non è possibile pensare soltanto alla fisicità, senza dare supporto nelle altre dimensioni, perché la persona va riconosciuta nella sua integrità, soprattutto nei casi più gravi». L’opera del palliativista è quindi sempre d’équipe, un lavoro di squadra che coinvolge infermieri, psicologi, medici, assistenti spirituali e sociali. E anche al congresso gli argomenti sono eterogenei, dalla farmacologia all’antropologia del processo del morire e del lutto, dalla comunicazione alla medicina narrativa, dagli aspetti religiosi alle nuove tecnologie. Oggi in Italia, come in gran parte del mondo industrializzato, c’è sempre più bisogno di cure palliative, ormai non riservate esclusivamente ai malati di cancro.

Spiega Carlo Peruselli, ex presidente della Società, già direttore della rete di cure palliative dell’Asl di Biella: «Gli studi più accreditati dimostrano dati ormai sicuri – spiega –. Tra il 70 e l’80 per cento delle persone che muoiono ogni anno in Italia hanno bisogno di cure palliative nel loro ultimo periodo di vita. In valori assoluti parliamo di 400-500mila persone. Di queste, il 40% sono malati di cancro e il 60% di altre malattie, come Alzheimer, patologie respiratorie croniche o malattie neurologiche come la Sla o il morbo di Parkinson. Un fenomeno che aumenterà ancora nei prossimi anni, con l’incremento dell’aspettativa di vita della popolazione. Non esistono dati altrettanto precisi anche sulle cure, ma è certo che per ora la copertura del bisogno è del tutto insufficiente davanti a numeri che continueranno a crescere:

Questo richiede una riflessione sull’organizzazione stessa dei servizi – continua Peruselli – e rende necessario investire su due livelli: potenziare i servizi specialistici ma al tempo stesso lavorare sulle competenze e le capacità dei medici di famiglia, perché possano far fronte ai bisogni di alcune malattie». Recentemente c’è stato uno sviluppo degli hospice (in Italia esistono oltre 250 strutture), ma ora «la sfida è sviluppare reti locali di cure palliative, anche a livello domiciliare o nelle case di riposo. Non solo si migliorerà la qualità delle cure, ma si garantirà persino un risparmio economico per la collettività, riducendo, ad esempio, il numero di ricoveri o di esami inappropriati».

Anche il mondo accademico è chiamato a fare la sua parte: «Dopo anni di attesa – annuncia Italo Penco, presidente della Società italiana di cure palliative – finalmente vengono introdotti crediti formativi obbligatori di cure palliative e medicina del dolore. Gli studenti avranno quindi una formazione di base su questi temi, che risulterà utile nel loro percorso professionale, in seguito alla raccomandazione arrivata da un tavolo istituito dai ministeri della Salute e dell’Università. Per accompagnare i malati nel loro momento più difficile occorre umanità ma anche competenza». Le persone fragili aumenteranno in futuro e soltanto una corretta gestione delle risorse potrà garantire assistenza a tutti: «Troppi pazienti oggi muoiono ancora in corsia, lontani dalla propria casa e con costi molto alti per la sanità. Ogni ospedale dovrebbe avere un’équipe di cure palliative per valutare i singoli casi. Con una reale integrazione dei servizi territoriali e domiciliari sarebbe possibile permettere ai malati di concludere la loro vita in un luogo familiare e vicino ai propri cari».

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