
Il ministro della Salute Orazio Schillaci
L’appuntamento per lui è in piazza di Spagna nel pomeriggio di sabato 5 per riflettere sul valore del dono con monsignor Rino Fisichella, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, con testimonianze di professionisti della salute e pazienti. Al ministro della Salute Orazio Schillaci il messaggio del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, che richiama a Roma oggi e domani 20mila pellegrini, incoraggia più di una considerazione d’attualità.
Da cosa si sente interpellato, anche personalmente?
Il Santo Padre durante la sua degenza al Policlinico Gemelli ha fatto riferimento in più occasioni alla “premura del servizio” e alla “tenerezza della cura” da parte dei medici e degli operatori sanitari. Credo che sia proprio in questa relazione di cura che vada ricercato il significato del Giubileo, perché chi vive la malattia ha bisogno non solo di terapie farmacologiche, di procedure chirurgiche, ma di una dimensione umana. Non dimentichiamo che in Italia si parla comunemente di Servizio sanitario nazionale, un’espressione ben precisa che ha a che fare con l’essere delle persone a servizio di altre persone, con il curante inteso come “una persona che cura un’altra persona”. Proprio per questo abbiamo previsto che il principio dell’umanizzazione sia alla base dell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza. Un tavolo ad hoc del Ministero è già la lavoro per definire i criteri di questi nuovi modelli organizzativi. Personalmente sento il dovere di fare tutto quanto è nelle mie facoltà per rafforzare e mettere in sicurezza il nostro welfare sanitario affinché resti saldamente ancorato ai principi di solidarietà, equità, gratuità. Non è un caso se abbiamo scelto di dedicare l’evento di oggi alla solidarietà e al dono per promuovere la donazione di sangue e di trapianti, e per sottolineare l’importanza della solidarietà verso chi è più fragile.
Cosa vuol dire per la sanità italiana oggi “dare speranza”?
Gli enormi progressi compiuti nel campo della medicina hanno permesso di trattare malattie che fino a pochi decenni fa erano incurabili. Dal punto di vista del progresso scientifico viviamo un’epoca d’oro, perché la rapidità con cui vengono messe a punto le innovazioni terapeutiche, diagnostiche e interventistiche consente di curare sempre meglio un ampio ventaglio di patologie. Ciò detto, è necessario che la sanità italiana dia a tutti la possibilità di accedere a queste innovazioni e di darle nei tempi giusti. Una “sanità che non delude” non esclude nessuno e si fa carico di tutti con tempestività, senza distinzioni.
Un tema assai caro a Francesco è la necessità di contrastare la “società dello scarto”, che considera accettabile “lasciare indietro” chi non ce la fa. Il problema è di saperle opporre una “società della cura”. Come si fa?
Premesso che l’idea di lasciare indietro qualcuno è contraria allo spirito del nostro Servizio sanitario nazionale, non possiamo negare che viviamo in un momento storico caratterizzato da un’attenzione maggiore al profitto che alla persona. Però credo che in Italia siano ancora forti gli anticorpi contro questa deriva dello scarto. Certo, non dobbiamo mai abbassare la guardia e continuare a lavorare per una ridefinizione dell’offerta sanitaria che anche in un’epoca di tecnologizzazione ruoti intorno alla centralità della persona, al rispetto della dignità umana che non vengono mai meno nelle situazioni di vulnerabilità. Innovare la nostra sanità pubblica non significa rinunciare a quei principi e valori che l’hanno resa un patrimonio inestimabile di tutta la Nazione.
Il Papa durante la sua degenza ha parlato di una “luce” che “risplende” ogni giorno “negli ospedali e nei luoghi di cura”... Ho provato un sentimento di enorme gratitudine verso il Pontefice. Sono convinto che quelle parole abbiano fatto un gran bene ai tanti medici e infermieri e a tutti gli operatori della sanità che lavorano con grande senso del dovere e passione, anche talvolta tra mille difficoltà. Inoltre, sono parole che possono avere il potere di far riscoprire la relazione medico-paziente che negli ultimi tempi è entrata in grande sofferenza. Basti pensare ai continui episodi di violenza a cui spesso assistiamo contro gli operatori sanitari e sociosanitari, dovuti a una complessità di fattori tra cui una progressiva perdita del senso della relazione. Ecco perché è importante che si parli di Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità: anche questo è un messaggio per far comprendere che queste due parole – paziente e operatore sanitario – devono andare sempre l’una accanto all’altra.
La cura dei più vulnerabili ha a che fare con la sostenibilità del Sistema sanitario. Lo si voglia o no, si impongono scelte. Ma in base a quali criteri?
Con l’allungamento della vita media è aumentata in maniera significativa la domanda di assistenza sanitaria dovuta all’incremento di patologie croniche correlate all’età e che drenano molte più risorse economiche. Dinanzi a questo nuovo scenario demografico stiamo mettendo in atto nuovi approcci e modelli assistenziali per salvaguardare la sostenibilità della sanità pubblica e continuare a occuparci dei più vulnerabili. Mi riferisco in particolare al rafforzamento dell’assistenza territoriale, perché è sul territorio che dobbiamo prenderci cura adeguatamente dei bisogni di salute dei più fragili, evitando allo stesso tempo un deterioramento delle loro condizioni cliniche e abbattendo il tasso di ricoveri, soprattutto di quelli inappropriati. Un altro asse su cui stiamo investendo è la prevenzione che è fondamentale per avere meno malati in futuro e dunque meno costi per l’assistenza. In questo modo possiamo garantire sostenibilità, liberando risorse da reinvestire nelle innovazioni, che hanno costi notevoli ma anche benefici sorprendenti sia in termini di efficienza economica che di efficacia delle cure.
La vicenda clinica e umana di molti ammalati affetti da patologie gravi pone interrogativi etici sul “fine vita”, con una diffusissima domanda di cure adeguate che convive con la richiesta in alcuni casi di morte assistita. Il Sistema sanitario può rispondere alla prima evitando che la seconda diventi una strada “ordinaria”, come purtroppo accade in alcuni Paesi?
L’approvazione della legge 38/2010 sulle cure palliative ha segnato un passaggio importante per l’Italia, ma non è stata, a mio avviso, valorizzata in maniera adeguata. Oggi ci troviamo con alcune Regioni che prevedono reti ben funzionanti e altre che presentano forti criticità. Eppure sta emergendo a livello internazionale che la richiesta di morte assistita diminuisce in maniera significativa in presenza di un accesso garantito al sistema delle cure palliative. In questo scenario e per la necessità di una maggiore omogeneità a livello regionale, già nella legge di bilancio 2023 è stato chiesto alle Regioni un potenziamento delle cure palliative per garantirle, entro il 2028, al 90% della popolazione interessata e nel 2025 abbiamo aumentato di 10 milioni di euro il fondo dedicato. Le considero misure di civiltà e di speranza per tanti pazienti e famiglie che vivono esperienze di grande dolore.