lunedì 7 aprile 2025
Dai ricordi di chi l’ha conosciuto emerge il profilo di un «ragazzo normale» testimone discreto, che mostrava la propria fede con uno stile fatto di attenzione agli altri. E con gesti concreti
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Nelle note biografiche – o, più correttamente, agiografiche – si legge che Carlo Acutis è nato a Londra. E che le sue reliquie si trovano ad Assisi. Ma la vita, Carlo l’ha trascorsa quasi interamente a Milano. E, più precisamente, in un piccolo triangolo compreso tra la casa, la parrocchia e le scuole che ha frequentato. Il capoluogo lombardo è quindi la città del ragazzo morto a 15 anni per una leucemia fulminante che il 27 aprile sarà proclamato santo in piazza San Pietro durante il Giubileo degli adolescenti.

Le sue radici ambrosiane affondano nella zona di piazza Tommaseo, distante 30 minuti a piedi dalle guglie del Duomo, dove ancora abitano e lavorano decine di persone che hanno conosciuto Carlo bimbo e adolescente. «Ce l’ho presente come se fosse davanti ai miei occhi – racconta suor Miranda Moltedo, che è stata sua maestra alle elementari nell’istituto delle Marcelline –. Era un ragazzino tranquillo e sereno, potrei dire pensoso per il suo carattere riflessivo». Atteggiamenti – commenta suor Moltedo – che apparivano come quelli di un bambino «normale», ma che già tradivano una spiccata sensibilità. A confermarlo è suor Monica Ceroni che è stata docente di Carlo alle scuole medie. «La sua era una di quelle intelligenze dirompenti che non si possono costringere nelle maglie dello studio regolare e, per certi versi, danno fastidio. Ma sono anche le stesse di chi compie nella vita cose straordinarie».

Già tra i 10 e i 13 anni, conferma suor Monica, Carlo iniziava a programmare con il computer. Ma la maggior parte del “lavoro” lo svolgeva a campanella suonata, dopo essere tornato a casa. «Era già in grado di programmare con più linguaggi insieme e leggeva testi universitari di informatica». A spiegarlo è Federico Oldani, uno degli amici con cui Carlo trascorreva decine di pomeriggi in camera a guardare film, ma anche a «parlare di politica e religione». Ora Federico è un ingegnere aerospaziale ma all’epoca – confessa – non riusciva a seguire il passo dell’amico. «Mi aveva prestato i suoi libri, ma non leggevo più di tre pagine in quei testi accademici». Per Carlo, però, l’informatica era solo uno strumento per esprimere la propria fede, già evidente agli occhi di chi gli stava vicino. «Mi aveva mostrato il sito dei miracoli eucaristici in fase di sviluppo – continua Oldani – ma con noi rimaneva molto discreto nel parlare di Vangelo perché aveva capito che non eravamo granché credenti. Quindi non faceva proselitismo. Preferiva agire con discrezione».

Poi Federico Oldani racconta una storia che si ripete in molte testimonianze di amici e insegnanti di Carlo. Il protagonista è Andrea Pobbiati, ragazzo di 22 anni ucciso a coltellate nel 2014 ma che nel 2003 era un compagno di classe di Carlo «che si vestiva con una tuta verde ramarro e che veniva bullizzato a scuola». Così, almeno, lo descrive suor Monica Ceroni. Solo Carlo trascorreva le ricreazioni con lui e lo invitava a passare i pomeriggi a casa sua. «Era riuscito a integrarlo come un amico e non come un ragazzo particolare», spiega la maestra. Che, assieme alle altre insegnanti, si è accorta dell’impegno sociale di Carlo solo a distanza di anni dalla sua morte. «Metteva da parte le sue paghette per dare pasti caldi e coperte ai poveri del quartiere – racconta la maestra Valentina Quadrio – ma l’ho scoperto soltanto al suo funerale, quando si sono presentati tutti affollando la chiesa di Santa Maria Segreta».

“Discrezione”, nella Milano in cui ha trascorso l’adolescenza, pare che fosse la parola d’ordine di Carlo. Tanto che neppure ai professori del liceo, il Leone XIII, spiegava quali fossero i suoi impegni extrascolastici. «Mi capitava di sorprenderlo senza che avesse fatto i compiti – racconta la docente di matematica, Maria Capello – e lui mi rispondeva che aveva “altro da fare”. L’ho capito anni dopo in che cosa fosse occupato». E non si trattava solo di carità ma anche di preghiera.

Ogni giorno Carlo si fermava in adorazione dell’Eucaristia in Santa Maria Segreta. Ogni giorno partecipava alla Messa e recitava il Rosario. Tra i tanti lo testimonia Francesca, una parrocchiana che ha conosciuto Carlo a pochi mesi dalla morte e che lo vedeva in ginocchio, di fronte al tabernacolo, sulle stesse panche dove lei torna adesso a pregare ogni mattina. «Era un ragazzo normale – rivela – ma aveva un volto luminoso, perché aveva incontrato il Signore». Come lei migliaia di pellegrini giungono da anni a Santa Maria Segreta in preghiera sulle tracce di Carlo Acutis. Per conoscerlo nella sua Milano. «L’ultima volta che ho aggiornato il conteggio erano più di 6mila – spiega il parroco don Maurizio Corbetta –. Gli ultimi venivano da Melbourne, in Australia».

La vita milanese di Carlo Acutis e le voci di chi lo ha conosciuto sono al centro del nostro Podcast "Carlo. Sui passi di Acutis". Puoi ascoltarlo qui.

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