venerdì 11 aprile 2025
Pechino ha alzato i controdazi sui beni statunitensi dall'84% al 125%. La Ue vuole invece trattare temendo che la Cina riversi metalli e prodotti chimici a basso costo sui mercati europei
Una fabbrica di alberi di Natale a Jinhua nella provincia cinese di Zhejiang

Una fabbrica di alberi di Natale a Jinhua nella provincia cinese di Zhejiang - Ansa

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La Cina ha aumentato ancora i dazi sugli Stati Uniti portandoli al 125% nell’ultima escalation della guerra commerciale tra le due maggiori economie mondiali. Questa ritorsione di Pechino, che entrerà in vigore da oggi, è arrivata dopo che la Casa Bianca aveva imposto l’ennesimo aumento, arrivando a un’aliquota tariffaria minima del 145% su tutte le esportazioni dalla Cina verso gli Stati Uniti, in aggiunta a quella già esistente del 20%.Questa mossa di Pechino si accompagna a un’ondata crescente di disagi nel trasporto marittimo, che minaccia di mandare in tilt il commercio internazionale tra i due Paesi, con cancellazioni di spedizioni destinate a compromettere i viaggi transpacifici. Secondo le previsioni del New York Times, la perdita della Cina come mercato di esportazione infliggerà un duro colpo economico ai lavoratori agricoli di molti Stati repubblicani, colpendo tantissimi degli elettori che hanno aiutato Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali. Sebbene la minaccia dei dazi abbia agitato Wall Street per giorni, il peggio deve ancora arrivare per Main Street. Secondo quanto riportato dal Financial Times, i primi cambiamenti riguarderanno il reparto ortofrutta, dove gli aumenti di prezzo inizieranno entro la fine del mese. Gli Stati Uniti importano il 59% della frutta fresca e il 35% della verdura consumata dagli americani, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura. Per quanto riguarda le ricadute finanziarie dei dazi, il dollaro è crollato al minimo degli ultimi 3 anni nei confronti dell’Euro. Il rendimento dei titoli del Tesoro USA a 10 anni è in aumento mentre continua la svendita dei titoli obbligazionari. Questo calo del dollaro, inoltre, potrebbe rappresentare il segnale di partenza per uno spostamento di capitali molto più ampio dagli Stati Uniti, che non garantiscono più la stessa protezione contro l’aumento dell’inflazione.

Uno sportello della Banca di Cina a New York

Uno sportello della Banca di Cina a New York - Ansa

Di fronte a questa aliquota al del 145%, la Cina che finora era il Paese da cui gli USA acquistavano più beni di quanti ne vendevano, con un deficit commerciale di 295 miliardi di dollari canto suo, sta correndo ai ripari. Il gruppo cinese di e-commerce JD.com ha presentato un’iniziativa da 27 miliardi dollari per aiutare gli esportatori in difficoltà e acquistando beni realizzati per l’esportazione per rivenderli sul mercato interno cinese. Anche la divisione supermercati del gigante di internet, Alibaba ha annunciato che collaborerà con gli esportatori cinesi per espandere le vendite sul mercato interno. La Cina, inoltre, una delle principali preoccupazioni europee: il timore è che Pechino possa riversare metalli e prodotti chimici a basso costo sul mercato europeo, in questo momento in cui sta perdendo l’accesso ai clienti americani a causa degli elevati dazi di Trump. Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, l’organo esecutivo dell’Ue, sta continuando a lavorare con incontri e telefonate ai leader mondiali, per rafforzare gli accordi commerciali esistenti e stipularne di nuovi. Si sta anche discutendo su come ridurre le barriere tra i singoli Paesi europei. Nel contempo il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic sarà domenica a Washington per dare il via a un nuovo round negoziale. Ma il commissario all’Economia, Valdis Dombrovskis, a margine dell’Eurogruppo a Varsavia, ha sottolineato che l’Europa si trova a negoziare in una posizione di forza: «Secondo nostre simulazioni, il Pil degli Stati Uniti si ridurrebbe dallo 0,8% all’1,4% entro il 2027, mentre l’impatto negativo sull’Ue sarebbe circa lo 0,2% del Pil. Se poi i dazi fossero confermati permanentemente le conseguenze economiche sarebbero negative del 3,1-3,6% per gli Usa e 0,5%-0,6% per l’Ue, l’1,2% per il Pil mondiale, mentre il commercio globale diminuirà del 7,7% tra tre anni».

La strategia dell’Ue è concentrata nel rendere il blocco dei 27 meno dipendente da un’America che, seppur sia sempre più volubile, rappresenta ancora il principale fornitore di tecnologia militare per l’Europa. Va detto che il mercato dei consumatori statunitense è sì ampio, ma non è l’unico al mondo: «Gli Stati Uniti rappresentano il 13% del commercio mondiale di merci», ha aggiunto il commissario europeo per il commercio. L’obiettivo «è proteggere il restante 87% e garantire che il sistema commerciale globale prevalga per tutti noi». Per l’Europa non sono molte le speranze di riuscire a sostituire un partner commerciale e militare come gli Usa da un giorno all’altro. Eppure secondo von der Leyen «Non bisogna mai sprecare una buona crisi» per rimettersi in piedi in modi nuovii.

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