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Malati con i loro accompagnatori entrano in San Pietro attraverso la Porta Santa durante l'evento giubilare che hanno condiviso con tutto il mondo della sanità, il 5 e 6 aprile - Agenzia Romano Siciliani
«Non possiamo permettere che la speranza venga meno, perché è la luce che ci fa andare avanti». Le parole di Papa Francesco pronunciate nel 2016, in occasione del Giubileo della Misericordia, ci invitano a non perdere di vista la speranza, un insegnamento prezioso specialmente se riferito al nostro sistema sanitario e allo sforzo quotidiano che unisce pazienti, operatori e istituzioni. La speranza in questo senso non è solo un conforto “religioso”, ma una forza in grado di alimentare la fiducia collettiva e dare sostegno al servizio sanitario stesso. In questo momento, mentre il Santo Padre affronta la sua convalescenza con la vicinanza e il supporto di milioni di fedeli, le sue parole acquistano un valore ancora più profondo. Come ha detto recentemente: «La sofferenza può essere trasformata in amore, in aiuto concreto per gli altri».
La sanità è fatta da persone per la persona. Questo principio è a fondamento del nostro sistema sanitario e la stella polare per ogni decisione di salute collettiva. Una direzione tutt’altro che facile e scontata, perché implica scelte basate su un binomio inscindibile: responsabilità e innovazione.
In questo senso, a sostenerci c’è proprio la speranza, che “non delude” (Lettera ai Romani 5,5) – come Francesco ci ricorda spesso – e non è vana, poiché si concretizza come motore di giustizia sociale e di cura dei più vulnerabili ogni giorno in tutto il Paese, anche nelle aree più complesse e a rischio. Il dibattito sulla sanità in Italia si concentra solo sulle criticità, su quello che non funziona, ignorando quasi totalmente le eccellenze e le pagine positive che si scrivono quotidianamente e ovunque nelle nostre strutture, mortificando chi ogni giorno lavora per dare risposte ai cittadini.
Da questa consapevolezza deve partire un cambiamento e ognuno di noi può contribuire a superare questa narrazione improduttiva, promuovendo un discorso che non solo metta in luce le difficoltà, ma che riconosca gli infiniti aspetti positivi del nostro servizio sanitario. La sanità italiana offre pressoché gratuitamente, o quasi, milioni di prestazioni, cure e servizi, nonostante sia afflitta da criticità ormai croniche: carenza di personale, liste d’attesa, sovraccarico delle strutture, scarsezza di risorse. La pandemia, che ha esasperato queste difficoltà, paradossalmente ha anche dimostrato la resilienza e la qualità del sistema, valorizzando la centralità della sanità pubblica. In questo caso, dunque, la speranza si traduce nella consapevolezza che ogni miglioramento contribuisce a costruire un bene comune tangibile, che non può essere messo in discussione.
Aderire al coro di chi polemizza, spesso per mestiere, e racconta “un tanto al chilo” solamente ciò che non va nella nostra sanità, può forse capitalizzare in termini di consenso e visibilità mediatica, ma non lavora al bene della collettività, poiché non fa altro che alimentare sfiducia e disaffezione in chi si rivolge a medici e ospedali. E, alla lunga, logora anche gli animi di chi lavora nel servizio sanitario pubblico. Pazienti e operatori non devono sentirsi ostaggi di un sistema burocratico e mediatico, numeri e casi umani da utilizzare in maniera strumentale per sterile polemica politica, ma individui con bisogni specifici a cui dare innanzitutto ascolto e per cui promuovere un cambiamento reale. La speranza diventa quindi quell’ingrediente in più che può aiutarci a lavorare per un Ssn più capace di intercettare i bisogni delle persone, ma anche promuovere la ricerca scientifica, guidare i progressi della medicina personalizzata, insieme al miglioramento della qualità dell’assistenza. Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata Mondiale del Malato, ha sottolineato che «i luoghi in cui si soffre sono spesso luoghi di condivisione», perché la speranza non è valore astratto, ma deve tradursi in azioni concrete per migliorare la vita dei pazienti.
Pertanto, è necessaria una leadership nella sanità pubblica più forte e responsabile, capace di gestire le risorse con efficienza, promuovere pratiche sostenibili e garantire equità nell’accesso alle cure. Nel cammino intrapreso per il Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità, siamo tutti chiamati a riscoprire il valore della solidarietà e della responsabilità collettiva. È un tempo che ci sollecita a trasformare la speranza in azione, e l’azione in riforme concrete, capaci di rispondere ai bisogni reali delle persone. Le parole del Santo Padre ci guidano con forza e tenerezza: «Siamo chiamati ad essere angeli di speranza gli uni per gli altri». Questa chiamata riguarda ognuno di noi: pazienti, medici, infermieri, operatori sanitari, amministratori. Siamo tutti parte di una stessa comunità e abbiamo il dovere di rendere la speranza una realtà tangibile, ogni giorno, in ogni scelta, in ogni gesto di cura. In questo orizzonte, le nuove tecnologie – e in particolare l’intelligenza artificiale – possono diventare strumenti di speranza, se guidate da valori umani e orientate al bene comune.
L’IA può aiutarci a diagnosticare prima, a personalizzare le terapie, a migliorare l’accesso ai servizi, ma solo se è davvero al servizio della persona, utilizzata con equità, trasparenza e responsabilità. La Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere vuole essere un acceleratore di questa innovazione consapevole. Attraverso la sua rete di aziende sanitarie pubbliche, si impegna a promuovere modelli organizzativi che integrino l’intelligenza artificiale in modo etico, sostenibile e inclusivo, affinché l’innovazione non sia mai fine a sé stessa, ma sempre strumento di giustizia, prossimità e umanizzazione delle cure.
*Presidente Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso)