giovedì 3 aprile 2025
La particolarità della condizione di ciascuno consente di riconoscere i suoi veri bisogni. La riformulazione della "Dichiarazione di Helsinki" sull'etica della ricerca biomedica indica una strada
La chiave della "vulnerabilità" per dare salute a tutti. Senza differenze

Imagoeconomica

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Tutti abbiamo un’intuizione del significato della parola vulnerabilità. Il Department of Economic and Social Affairs of the United Nations, Report on the World Social Situation. Social Vulnerability. Sources and Challenges, 2003 la definisce «una particolare condizione o stato di elevata esposizione a determinati rischi e incertezze, in combinazione con una ridotta capacità di proteggersi o difendersi da tali rischi e incertezze e di far fronte alle loro conseguenze negative». Tale definizione porta a una prima distinzione: la vulnerabilità esistenziale, basata sulle caratteristiche intrinseche, quali l’età (minori, anziani) e il sesso (maschi, femmine), e la vulnerabilità situazionale, basata sul contesto e sulle circostanze.

Le vulnerabilità situazionali sono dovute a diversi fattori: vulnerabilità cognitiva, ossia incapacità o scarsa capacità di comprendere le informazioni per assente o ridotta istruzione; vulnerabilità istituzionale, o essere soggetto a una relazione di autorità in una struttura gerarchica; vulnerabilità strutturale, o vivere in una condizione che restringe la libertà di agire; vulnerabilità economica, ossia essere svantaggiati nella distribuzione di beni e servizi sociali, come alloggio, istruzione, lavoro, reddito, accesso all’assistenza sanitaria; vulnerabilità sociale, quale appartenenza a un gruppo sociale emarginato, in condizioni precarie (minoranze etniche, nomadi, rifugiati o richiedenti asilo, persone che vivono in aree rurali povere e a bassa densità o altri luoghi associati a infrastrutture sottosviluppate o in deterioramento, mancanza di opportunità di lavoro, servizi medici, sociali ed educativi, trasporti e strutture di comunicazione insufficienti, elevata criminalità); vulnerabilità ambientali, o vivere in un ambiente inquinato o che espone a rischi per la salute. Tali condizioni sono tutte anche potenzialmente intersezionali o sovrapposte tra loro e con le vulnerabilità esistenziali.

Se mediante la dottrina dei diritti umani abbiamo acquisito consapevolezza dell’importanza della protezione della salute di tutti i soggetti umani senza differenze, si sta divenendo progressivamente sempre più consapevoli che la particolarità della condizione consente di comprendere i bisogni concreti che – se non riconosciuti – ne possono compromettere la dignità, l’autonomia, l’uguaglianza, delineando possibilità di sfruttamento, inganno, dipendenza, inferiorità, svantaggio. Oggi il tema diventa centrale non solo nelle discussioni teoriche di bioetica ma anche “praticamente” nel contesto della pratica clinica, delle politiche sanitarie, della ricerca, affinché possano essere garantite giustizia ed equità di accesso. In condizioni di particolare vulnerabilità c'è bisogno di una specificazione dei princìpi etici generali, o di un’integrazione di ulteriori requisiti etici di salvaguardia.

Ne è un esempio la recente riformulazione della Dichiarazione di Helsinki (2024) dedicata all’etica della ricerca biomedica, che pone una specifica attenzione alla vulnerabilità individuale, di gruppi e comunità, evidenziando l’esigenza di non escludere a priori chi è vulnerabile perché l’esclusione può avere effetti negativi su chi – non partecipando – non avrà farmaci validi per la salute: ma al tempo stesso l’inclusione deve essere attentamente bilanciata sul piano etico per garantire, caso per caso, la proporzionalità di benefici e rischi, oltre che l’autonomia dei soggetti partecipanti. La vulnerabilità è dunque un tema generale (tutti siamo vulnerabili) ma anche particolare (nella specificità esistenziale e situazionale), ed esige una riflessione bioetica “sartorial”’, adeguata alle singole esigenze e bisogni, per garantire una effettiva inclusività.

*Ordinario di Filosofia del diritto Università Lumsa

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