lunedì 21 aprile 2025
Nei testi composti per Angelus e messaggi nel mese e mezzo di ricovero, e poi sino alla vigilia della morte, Francesco ci ha offerto un insegnamento sulla “spiritualità della malattia”
Il Papa in preghiera durante una delle sue recenti visite di preghiera alla Salus Populi Romani, che ha voluto salutare in Santa Maria Maggiore subito dopo le dimissioni dal Gemelli

Il Papa in preghiera durante una delle sue recenti visite di preghiera alla Salus Populi Romani, che ha voluto salutare in Santa Maria Maggiore subito dopo le dimissioni dal Gemelli - Abaca/ ipa-agency.net

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Dal giorno del ricovero al Policlinico Gemelli, il 14 febbraio, sino al giorno di Pasqua papa Francesco ha tenuto una sorta di "diario" delle sue riflessioni durante l'esperienza della malattia: citazioni tratte da Angelus, omelie e messaggi scritti nella sua camera d'ospedale e, dopo le dimissioni, il 23 marzo, da Casa Santa Marta, che vanno a comporre un "magistero della sofferenza" del quale è stato testimone con la sua stessa vita, sino all'ultimo giorno della sua vita.

«Vi ringrazio per l’affetto, la preghiera e la vicinanza con cui mi state accompagnando in questi giorni, così come vorrei ringraziare i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per la loro premura: svolgono un lavoro prezioso e tanto faticoso, sosteniamoli con la preghiera!». (16 febbraio)

«Proseguo fiducioso il ricovero al Policlinico Gemelli, portando avanti le cure necessarie; e anche il riposo fa parte della terapia! Ringrazio di cuore i medici e gli operatori sanitari di questo Ospedale per l’attenzione che mi stanno dimostrando e per la dedizione con cui svolgono il loro servizio tra le persone malate. (...) In questi giorni mi sono giunti tanti messaggi di affetto e mi hanno particolarmente colpito le lettere e i disegni dei bambini. Grazie per questa vicinanza e per le preghiere di conforto che ho ricevuto da tutto il mondo! Affido tutti all’intercessione di Maria e vi chiedo di pregare per me». (23 febbraio)

«Sorelle e fratelli, vi mando questi pensieri ancora dall’ospedale, dove come sapete mi trovo da diversi giorni, accompagnato dai medici e dagli operatori sanitari, che ringrazio per l’attenzione con cui si prendono cura di me. Avverto nel cuore la “benedizione” che si nasconde dentro la fragilità, perché proprio in questi momenti impariamo ancora di più a confidare nel Signore; allo stesso tempo, ringrazio Dio perché mi dà l’opportunità di condividere nel corpo e nello spirito la condizione di tanti ammalati e sofferenti. Vorrei ringraziarvi per le preghiere, che si elevano al Signore dal cuore di tanti fedeli da molte parti del mondo: sento tutto il vostro affetto e la vostra vicinanza e, in questo momento particolare, mi sento come “portato” e sostenuto da tutto il Popolo di Dio. Grazie a tutti!». (2 marzo)

23 marzo: il Papa si affaccia a un balconcino del Gemelli per salutare la folla poco prima di essere dimesso. In primo piano, la statua di Giovanni Paolo II davanti al Policlinico

23 marzo: il Papa si affaccia a un balconcino del Gemelli per salutare la folla poco prima di essere dimesso. In primo piano, la statua di Giovanni Paolo II davanti al Policlinico - Marco Iacobucci / ipa-agency.net

«Fratelli e sorelle, nel mio prolungato ricovero qui in Ospedale, anch’io sperimento la premura del servizio e la tenerezza della cura, in particolare da parte dei medici e degli operatori sanitari, che ringrazio di cuore. E mentre sono qui, penso a tante persone che in diversi modi stanno vicino agli ammalati e sono per loro un segno della presenza del Signore. Abbiamo bisogno di questo, del “miracolo della tenerezza”, che accompagna chi è nella prova portando un po’ di luce nella notte del dolore. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi stanno mostrando la loro vicinanza nella preghiera: grazie di cuore a tutti! Prego anch’io per voi. E mi unisco spiritualmente a quanti nei prossimi giorni parteciperanno agli Esercizi spirituali della Curia romana». (9 marzo)

«Sto affrontando un periodo di prova, e mi unisco a tanti fratelli e sorelle malati: fragili, in questo momento, come me. Il nostro fisico è debole ma, anche così, niente può impedirci di amare, di pregare, di donare noi stessi, di essere l’uno per l’altro, nella fede, segni luminosi di speranza. Quanta luce risplende, in questo senso, negli ospedali e nei luoghi di cura! Quanta attenzione amorevole rischiara le stanze, i corridoi, gli ambulatori, i posti dove si svolgono i servizi più umili! Perciò vorrei invitarvi, oggi, a dare con me lode al Signore, che mai ci abbandona e che nei momenti di dolore ci mette accanto persone che riflettono un raggio del suo amore. Vi ringrazio tutti per le vostre preghiere, e ringrazio coloro che mi assistono con tanta dedizione. So che pregano per me tanti bambini; alcuni di loro oggi sono venuti qui al “Gemelli” in segno di vicinanza. Grazie, carissimi bambini! Il Papa vi vuole bene e aspetta sempre di incontrarvi». (16 marzo)

In questi giorni ho sentito tanto il sostegno di questa vostra vicinanza, soprattutto attraverso le preghiere con cui mi avete accompagnato. Perciò, anche se non posso essere fisicamente presente in mezzo a voi, vi esprimo la mia grande gioia nel sapervi uniti a me e tra di voi nel Signore Gesù, come Chiesa. (ai pellegrini della diocesi di Napoli, 22 marzo)

«In questo lungo tempo di ricovero, ho avuto modo di sperimentare la pazienza del Signore, che vedo anche riflessa nella premura instancabile dei medici e degli operatori sanitari, così come nelle attenzioni e nelle speranze dei familiari degli ammalati. Questa pazienza fiduciosa, ancorata all’amore di Dio che non viene meno, è davvero necessaria alla nostra vita, soprattutto per affrontare le situazioni più difficili e dolorose. (...) Con tanta pazienza e perseveranza state continuando a pregare per me: vi ringrazio tanto!». (23 marzo)

«La gioia cristiana non è mai esclusiva, ma sempre inclusiva, è per tutti. Si compie nelle pieghe della quotidianità (cfr Evangelii gaudium, 5) e nella condivisione: è una gioia dai larghi orizzonti, che accompagna uno stile accogliente. È dono di Dio – ricordiamolo sempre –; non è una facile allegria, non nasce da comode soluzioni ai problemi, non evita la croce, ma sgorga dalla certezza che il Signore non ci lascia mai soli. Ne ho fatto esperienza anch’io nel ricovero in ospedale, e ora in questo tempo di convalescenza. La gioia cristiana è affidamento a Dio in ogni situazione della vita» (messaggio all’assemblea sinodale delle Chiese in Italia, 28 marzo)

«Carissimi, viviamo questa Quaresima, tanto più nel Giubileo, come tempo di guarigione. Anch’io la sto sperimentando così, nell’animo e nel corpo. Perciò ringrazio di cuore tutti coloro che, a immagine del Salvatore, sono per il prossimo strumenti di guarigione con la loro parola e con la loro scienza, con l’affetto e con la preghiera. La fragilità e la malattia sono esperienze che ci accomunano tutti; a maggior ragione, però, siamo fratelli nella salvezza che Cristo ci ha donato» (Angelus, 30 marzo).

«Certamente la malattia è una delle prove più difficili e dure della vita, in cui tocchiamo con mano quanto siamo fragili. Essa può arrivare a farci sentire come il popolo in esilio, o come la donna del Vangelo: privi di speranza per il futuro. Ma non è così. Anche in questi momenti, Dio non ci lascia soli e, se ci abbandoniamo a Lui, proprio là dove le nostre forze vengono meno, possiamo sperimentare la consolazione della sua presenza. Egli stesso, fatto uomo, ha voluto condividere in tutto la nostra debolezza (cfr Fil 2,6-8) e sa bene che cos’è il patire (cfr Is 53,3). Perciò a Lui possiamo dire e affidare il nostro dolore, sicuri di trovare compassione, vicinanza e tenerezza. Ma non solo. Nel suo amore fiducioso, infatti, Egli ci coinvolge perché possiamo diventare a nostra volta, gli uni per gli altri, “angeli”, messaggeri della sua presenza, al punto che spesso, sia per chi soffre sia per chi assiste, il letto di un malato si può trasformare in un “luogo santo” di salvezza e di redenzione. (...) Con voi, poi, carissimi fratelli e sorelle malati, in questo momento della mia vita condivido molto: l’esperienza dell’infermità, di sentirci deboli, di dipendere dagli altri in tante cose, di aver bisogno di sostegno. Non è sempre facile, però è una scuola in cui impariamo ogni giorno ad amare e a lasciarci amare, senza pretendere e senza respingere, senza rimpiangere e senza disperare, grati a Dio e ai fratelli per il bene che riceviamo, abbandonati e fiduciosi per quello che ancora deve venire. La camera dell’ospedale e il letto dell’infermità possono essere luoghi in cui sentire la voce del Signore che dice anche a noi: «Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19). E così rinnovare e rafforzare la fede. Benedetto XVI – che ci ha dato una bellissima testimonianza di serenità nel tempo della sua malattia – ha scritto che «la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza» e che «una società che non riesce ad accettare i sofferenti […] è una società crudele e disumana» (Lett. enc. Spe salvi, 38). È vero: affrontare insieme la sofferenza ci rende più umani e condividere il dolore è una tappa importante di ogni cammino di santità.
Carissimi, non releghiamo chi è fragile lontano dalla nostra vita, come purtroppo oggi a volte fa un certo tipo di mentalità, non ostracizziamo il dolore dai nostri ambienti. Facciamone piuttosto un’occasione per crescere insieme, per coltivare la speranza grazie all’amore che per primo Dio ha riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5) e che, al di là di tutto, è ciò che rimane per sempre (cfr 1Cor 13,8-10.13)» (omelia scritta per la Messa del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, 6 aprile).

«Carissimi, come durante il ricovero, anche ora nella convalescenza sento il “dito di Dio” e sperimento la sua carezza premurosa. Nel giorno del Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, chiedo al Signore che questo tocco del suo amore raggiunga coloro che soffrono e incoraggi chi si prende cura di loro. E prego per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, che non sempre sono aiutati a lavorare in condizioni adeguate e, talvolta, sono perfino vittime di aggressioni. La loro missione non è facile e va sostenuta e rispettata. Auspico che si investano le risorse necessarie per le cure e per la ricerca, perché i sistemi sanitari siano inclusivi e attenti ai più fragili e ai più poveri» (Angelus, 6 aprile).

«Sorelle e fratelli, vi ringrazio tanto per le vostre preghiere. In questo momento di debolezza fisica mi aiutano a sentire ancora di più la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Dio. Anch’io prego per voi, e vi chiedo di affidare con me al Signore tutti i sofferenti, specialmente chi è colpito dalla guerra, dalla povertà o dai disastri naturali» (Angelus, 13 aprile).




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