martedì 15 aprile 2025
Il sostegno a chi soffre e sperimenta il limite del corpo mostra la luce della risurrezione attraverso gesti concreti. Un messaggio anche per chi non crede. La voce di un cappellano ospedaliero
Accanto agli ammalati c'è la speranza della Pasqua (per tutti)
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La primavera è il tempo della rinascita, della luce che ritorna dopo il buio, della natura che si risveglia e torna a fiorire. È la stagione in cui la vita riprende vigore, la terra dopo il silenzio invernale si riempie di colori e profumi, testimoniando che nulla si perde ma tutto può rigenerarsi.

Con essa arriva la Pasqua, una celebrazione che, nel corso dei secoli, ha assunto molteplici significati. Per i cristiani, rappresenta il cuore della fede, il momento in cui la vita trionfa sulla morte, portando con sé un messaggio di speranza che supera il dolore e la paura. È l’annuncio di una possibilità nuova, il segno che, anche nelle situazioni più difficili, esiste sempre una via per ricominciare.
Ma la Pasqua, al di là delle credenze religiose, può essere vista da tutti come un simbolo universale di rinnovamento e di ripartenza, un’occasione per riflettere sul valore della vita e sulla possibilità di costruire un futuro migliore. È un tempo in cui possiamo fermarci e interrogarci: cosa ci dà la forza di andare avanti? Cosa ci sostiene nei momenti di difficoltà? Dove troviamo il coraggio di ricominciare? La risposta sta nella speranza, quel sentimento profondo che appartiene a ogni essere umano e che ci permette di guardare oltre le fatiche quotidiane, oltre le sconfitte, oltre le paure.

Papa Francesco ha più volte ricordato come la Chiesa non possa dimenticare coloro che sono emarginati dalla società, gli “scartati”, chi vive la fragilità della malattia e della solitudine. Oggi il Santo Padre stesso, con la sua malattia, si fa testimone di questa realtà, ricordandoci che nessuno è escluso dallo sguardo di Dio e che la comunità cristiana ha il dovere di rimanere accanto a chi soffre. Il suo stato di salute, vissuto con umiltà e silenzio, ci invita a riflettere: in una società che comunica incessantemente e che ha paura della fragilità, il silenzio può diventare una testimonianza profonda. Il suo non è un silenzio di assenza ma una presenza discreta, capace di parlare al cuore di chi sa ascoltare. Nel nostro tempo, spesso frenetico e superficiale, abbiamo bisogno di recuperare spazi di interiorità, di riconoscere la presenza di Dio anche nel mistero della sofferenza e della malattia.

La speranza, infatti, non è semplice ottimismo, né una visione ingenua della realtà, ma una forza interiore che spinge a guardare oltre le difficoltà e a credere nella possibilità di un cambiamento. La vediamo nei gesti di chi affronta la malattia con coraggio, di chi si rialza dopo una caduta, di chi continua a donare affetto e sostegno nonostante le avversità. È nello sguardo di chi, pur consapevole di avere poco tempo, sceglie di vivere con intensità ogni istante, di stringere mani, di offrire sorrisi, di trasmettere amore. È il filo invisibile che lega le persone, che trasforma la solitudine in condivisione, la paura in fiducia, la chiusura in apertura all’altro.

Ma la speranza, per sua natura, non è statica: è un cammino, un percorso che si costruisce giorno dopo giorno. Non si tratta solo di aspettare tempi migliori, ma di mettersi in viaggio, di essere, come ci ricorda il Giubileo 2025, “Pellegrini di speranza”. Pellegrini perché la vita stessa è un pellegrinaggio, un percorso fatto di tappe, di incontri, di momenti di smarrimento e di ritrovamenti. Ogni passo compiuto verso il bene, ogni scelta di giustizia, ogni atto di solidarietà è un modo per avanzare lungo questo sentiero. Non si cammina da soli: la speranza si rafforza nella relazione con gli altri, nell’incontro tra le persone, nella consapevolezza che nessuno è davvero solo. È il coraggio di chi non si arrende, di chi guarda avanti con fiducia, di chi sa che anche nel buio più profondo può accendersi una luce.

Lo vediamo ogni giorno nei luoghi di cura, nei reparti ospedalieri, nel lavoro silenzioso di medici, infermieri, volontari e di tutti coloro che si dedicano agli altri con professionalità e dedizione. Essi non si occupano solo di guarire i corpi ma anche di prendersi cura delle emozioni, delle fragilità, delle angosce di chi si trova ad affrontare il dolore. La loro presenza, il loro ascolto, la loro attenzione diventano spesso la più grande forma di speranza per chi soffre. È in questo cammino di vicinanza e di sostegno reciproco che si manifesta il senso più profondo della Pasqua.

La Pasqua è la celebrazione di questa speranza concreta, fatta di gesti quotidiani, di scelte coraggiose, di umanità che si manifesta nel prendersi cura del prossimo. Anche chi non crede nella risurrezione può riconoscere che la vita è un continuo intrecciarsi di difficoltà e nuove opportunità. Ogni crisi, per quanto dolorosa, può trasformarsi in un’occasione di crescita. Lo dimostra la storia dell’umanità, segnata da momenti di sofferenza ma anche da straordinarie capacità di ricostruzione e rinascita. Nulla è mai veramente perduto finché esiste la possibilità di guardare avanti, di rialzarsi, di ripartire con nuova consapevolezza.

Oggi, in un mondo attraversato da conflitti, divisioni, ingiustizie e crisi sociali, il messaggio pasquale e quello del Giubileo si rivelano quantomai attuali. Al di là della religione, invitano a riscoprire il valore della solidarietà, a riconoscere negli altri non avversari o estranei ma compagni di viaggio. Troppo spesso ci si lascia trascinare dalla diffidenza, dall’individualismo, dalla paura di ciò che è diverso. Eppure, solo attraverso il legame con gli altri possiamo trovare la vera forza per affrontare le difficoltà. La costruzione di un mondo più giusto e umano non passa attraverso la divisione ma attraverso il dialogo, la comprensione, la capacità di tendere la mano anziché innalzare muri.

Essere pellegrini di speranza significa scegliere di camminare insieme, di non voltarsi dall’altra parte, di credere che ogni passo, per quanto piccolo, possa fare la differenza. Significa farsi carico delle sofferenze altrui, avere il coraggio di aprirsi all’ascolto, di trasformare l’indifferenza in attenzione, il sospetto in fiducia. La Pasqua può allora diventare un tempo di riconciliazione, di superamento delle paure, di riscoperta del valore delle relazioni umane. È un invito a risvegliare la nostra capacità di empatia, a non chiuderci nelle nostre certezze, ma ad aprirci al confronto, al rispetto reciproco, alla ricerca di ciò che unisce piuttosto che di ciò che separa.

Per accogliere questo messaggio di speranza non è necessario appartenere a una fede religiosa: bastano gesti semplici, come un atto di gentilezza, un sorriso sincero, una parola di conforto. Perché ogni forma di amore e di attenzione verso l’altro è, in fondo, una piccola risurrezione, un segno che la vita, nonostante tutto, continua a fiorire. Un passo dopo l’altro, possiamo essere pellegrini di speranza, costruttori di un domani migliore.

*Sacerdote, cappellano clinico Fondazione Irccs Istituto nazionale dei Tumori - Milano

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