lunedì 7 aprile 2025
Al primo posto i dazi americani, imposti a Tel Aviv al 17%. Ci sono anche i dossier scottanti dell'Iran e della guerra a Gaza
Il presidente americano Donald Trump con l'omologo israeliano Benjamin Netanyahu, nell'incontro del 4 febbraio scorso alla Casa Bianca. Quello odierno è il secondo viaggio di Netanyahu negli Usa in due mesi

Il presidente americano Donald Trump con l'omologo israeliano Benjamin Netanyahu, nell'incontro del 4 febbraio scorso alla Casa Bianca. Quello odierno è il secondo viaggio di Netanyahu negli Usa in due mesi - Reuters

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Se avranno qualcosa da dire al mondo lo scopriremo stasera alle 20.30 italiane, quando il presidente americano Donald Trump e l'omologo israeliano Benjamin Netanyahu terranno una conferenza stampa congiunta dopo il loro incontro alla Casa Bianca. Ma il principale dossier sul tavolo è tutto economico e israeliano. Netanyahu è il primo di una serie di capi di governo che sono corsi a mettersi in fila da Trump per negoziare una riduzione dei dazi. Una volta a Washington, Netanyahu affronterà anche altri dossier, comunicati in quest'ordine dal suo ufficio: dazi, ritorno degli ostaggi, relazioni tra Israele e Turchia, minaccia iraniana e azioni contro la Corte penale internazionale dell'Aja, che ha chiesto di arrestare Netanyahu per crimini di guerra.

I DAZI. Il motivo prioritario del ritorno di Bibi, com'è chiamato, a Washington - dov'era stato ai primi di febbraio, primo leader straniero a essere ricevuto a sole due settimane dall'insediamento della nuova Amministrazione - è dunque lo stesso degli altri capi di governo di (quasi) tutto il mondo. Gli Stati Uniti sono il principale partner commerciale di Israele. L'entrata in vigore dei dazi al 17% (tre punti in meno di quelli imposti ai Paesi Ue) è un fardello pesante per l'economia, oltretutto diventata "di guerra". Rallentata dalla mobilitazione dei riservisti, che lascia scoperti posti di lavoro. E dallo svuotamento di interi comparti come quello turistico, che alla vigilia del 7 ottobre 2023 era in promettente ascesa. I settori più colpiti sono quelli dell'alta tecnologia (incluso il biotech), della chimica (plastiche, metalli, carburanti), dell'elettronica (componenti e robotica) e della produzione industriale (macchinari), nonché la lavorazione dei diamanti. Arriva infatti da Israele la maggior parte della produzione mondiale di piccole pietre finite, i brillanti usati nelle incastonature di gioielleria, il cui principale mercato è quello statunitense. L'Associazione Manifatturiera d'Israele, citata dal Times of Israel, ha calcolato in 2,3 miliardi di dollari l'anno l'impatto dei dazi e in 18mila-26mila i posti di lavoro a rischio. Se le imposte doganali arrivassero a coinvolgere l'industria farmaceutica (per il momento esente), la perdita salirebbe a 3 miliardi l'anno. Il presidente dell'Associazione ha scritto al premier esortandolo a «prendere tutte le misure diplomatiche ed economiche» a sua disposizione per «prevenire seri danni». Come gli altri mercati asiatici ed europei, dopo l'annuncio dei dazi americani la Borsa di Tel Aviv è sprofondata.

Prima di incontrare Trump, il premier israeliano ha visto ieri il Segretario al commercio, Howard Lutnick e il rappresentante per il commercio, Jamieson Greer. Il suo ufficio ha definito l'incontro «caloroso e produttivo». Lo stesso Trump ha detto che con Netanyahu parlerà «di commercio». «Spero di poter aiutare», aveva detto il leader israeliano prima di salire sull'aereo di stato Wing of Zion che l'ha portato direttamente da Budapest, dov'era in visita, a Washington, anticipando che avrebbe discusso del "regime tariffario" imposto dagli Usa.

OSTAGGI E HAMAS. Al secondo posto, con ampio distacco, nell'agenda di Netanyahu figura la guerra nella Striscia di Gaza. Quello stesso conflitto di cui Trump aveva promesso la cessazione prima del suo insediamento, il 20 gennaio, e per il quale aveva ottenuto una tregua entrata in vigore il 19 gennaio e rotta il 18 marzo con la ripresa dei raid israeliani. Negli ultimi giorni, gli Usa hanno consegnato a Israele un ulteriore sistema di difesa antimissile Thaad (in grado di intercettare missili fuori dall'atmosfera) e due batterie Patriot. Più volte Trump ha minacciato di «scatenare l'inferno» se Hamas non rilascerà al più presto i 59 ostaggi (i vivi sarebbero 24), tra cui un israelo-americano. Sul futuro della Striscia di Gaza, la visione dei due leader è la stessa: una Riviera Gaza modello Dubai dalla quale verrebbero estromessi "volontariamente" i palestinesi.

L'IRAN. Non c'è invece convergenza di vedute sul dossier iraniano, per Netanyahu inscindibile da quello di Gaza. Lo preoccupa l'atteggiamento mercantilista di Trump nei confronti degli ayatollah che invocano la distruzione dello Stato ebraico. La Casa Bianca vorrebbe infatti negoziare con Teheran, senza intermediari, per arrivare a un Iran denuclearizzato. Per il momento, Teheran ha opposto un netto rifiuto, dichiarandosi però disponibile a negoziati indiretti, con la mediazione dell'Oman. Senza accordo, ha minacciato Trump, l'Iran subirà bombardamenti come «non ha mai visto». Con un'azione definita clamorosa dagli analisti, gli Stati Uniti hanno inviato sei bombardieri B-2 sulla piccola isola di Diego Garcia nell'Oceano indiano. Si tratta di bombardieri strategici dotati di capacità stealth, in grado di trasportare sia armi nucleari sia la gigantesca bomba bunker da 12 tonnellate, sviluppata per colpire gli impianti nucleari sotterranei in Iran.

Alla vigilia del colloquio di Netanyahu con Trump, il ministro della Difesa Israel Katz ha pubblicato un documento di intelligence che rivela che i leader di Hamas Yahya Sinwar e Mohammed Deif avevano chiesto 500 milioni di dollari al capo dei pasdaran per programmare la distruzione di Israele in due anni. Richiesta accettata e denaro inviato che, secondo Katz, dimostrerebbero il coinvolgimento di Teheran nel 7 ottobre e, a suo dire, legittimerebbero un attacco israeliano.

LA CPI. Più semplice il dossier sul mandato d'arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi), con sede all'Aja, nei confronti di Netanyahu con l'accusa di crimini di guerra e contro l'umanità commessi nella Striscia di Gaza. Né Stati Uniti né Israele hanno mai firmato lo Statuto di Roma, e dunque non riconoscono l'azione della Corte. Nei mesi scorsi, sia Netanyahu sia Trump hanno avuto parole di fuoco per la Corte, accusandola di agire con finalità politiche e minacciandola di pesanti sanzioni.

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