In un tempo e in un Paese in cui non si fa altro che parlare di "sicurezza", la sicurezza delle norme che reggono la civile convivenza rischia, per amaro ma forse inevitabile paradosso, di essere ignorata. Altrimenti il presidente della Repubblica non sarebbe stato costretto – per altro in una giornata istituzionale particolarmente concitata, con il Governo sull’orlo della crisi (anzi, oltre) – ad accompagnare la promulgazione della legge di conversione del cosiddetto Decreto Sicurezza bis con una lettera ai presidenti delle Camere e del Consiglio in cui segnala due profili di quel testo «che suscitano rilevanti perplessità».
Un messaggio, quello di Sergio Mattarella, che illumina con il rigore del giurista ma anche con la forza della logica, le sproporzioni (o le enormità?) contenute nel provvedimento. In origine un decreto legge, strumento teoricamente ammesso solo nei casi di «necessità e urgenza», a ben vedere pensato dal ministro dell’Interno contro le Ong e poi inasprito sull’onda emotiva dell’irritazione nei confronti, in particolare, di una persona: Carola Rackete, la comandante della nave "Sea Watch 3" che ha osato ribellarsi al divieto di entrare nel porto di Lampedusa con il suo carico di disperati raccolti in mezzo al mare.
Così, il capo dello Stato non ha potuto fare a meno di osservare che, «per effetto di un emendamento» inserito durante l’iter parlamentare, le sanzioni per violazione del divieto d’ingresso nelle acque territoriali sono aumentate esponenzialmente, fino a raggiungere, nel massimo, il milione di euro. Una previsione «non ragionevole», non solo perché lasciata nell’ambito dell’atto amministrativo, ma perché l’obbligo per le navi di prestare soccorso ai naufraghi resta vigente, in quanto previsto dagli accordi internazionali.
Quello del Quirinale, tra l’altro, è anche un richiamo alla linearità dell’operato del Parlamento, che ha modificato e aggiunto contenuti «non sempre in modo del tutto omogeneo» rispetto al testo originario. È il caso, oltre che delle sanzioni pecuniarie, della confisca delle navi, in un primo momento prevista solo in caso di "recidiva" e ora applicabile già alla prima violazione.
Non meno importante il secondo rilievo del presidente della Repubblica, dal quale emerge con chiarezza ancora maggiore quanto l’irruenza, la parzialità e la smania poliziesca non si addicano al buon legislatore. Come si spiegherebbe, altrimenti, la norma che abolisce «la particolare tenuità del fatto» per resistenza, violenza, minaccia e oltraggio a pubblico ufficiale, la quale, così come è concepita, finisce per mettere sullo stesso piano chi aggredisce un agente di polizia e chi manda a quel paese il direttore di un ufficio postale? «Questa scelta legislativa – osserva Mattarella – impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere». Se tutto è sanzionabile, si rischia che niente lo sia. Da qui i «dubbi» del Colle sulla «ragionevolezza» di quella disposizione e sulla sua «conformità» al nostro ordinamento.
Per sovrapprezzo, una dimenticanza (?) – anche questa rilevata dal presidente Mattarella – ha lasciato intatta la «particolare tenuità» dell’oltraggio quando è commesso nei confronti di un magistrato in udienza. In sostanza, il dirigente di un ufficio tecnico comunale è un pubblico ufficiale più tutelato rispetto al giudice di un processo di mafia. Per inciso, anche la norma sui pubblici ufficiali non era nel testo originario ed è stata introdotta in Parlamento. La cruda realtà è che il Decreto Sicurezza bis (e così la sua legge di conversione) è nato male e cresciuto peggio. Con pochi tratti di penna, il capo dello Stato ha ricordato una verità valida in ogni epoca storica: i cittadini non sono più sicuri soltanto perché chi li governa pro tempore si riempie la bocca della parola "sicurezza". Lo sono, invece, se il diritto è certo, chiaro, quanto più possibile minimo, anche per questo umano. E retto.