Beirut - ANSA
Ventiquattr’ore per firmare o per sabotare il piano che dovrebbe spegnere almeno la guerra in Libano e offrire uno spiraglio all’intero Medio Oriente. «Speriamo non ci siano passi indietro», ha commentato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, esprimendo la diffusa preoccupazione internazionale per qualche trappola notturna prima del voto di oggi, quando il gabinetto di guerra israeliano dovrà esprimersi.
Per l’Amministrazione Biden è l’ultima chance: mostrarsi ancora influente nel Medio Oriente oppure passare alla storia per non essere riuscita a fermare né il bagno di sangue a Gaza né il conflitto che dal confine libanese si è inoltrato a colpi di caccia e missili fino alla capitale Beirut e al territorio siriano. Un patto per il Libano potrebbe però creare un precedente che la comunità internazionale potrebbe voler replicare anche a Gaza. Un’altra mossa dell’uscente Biden per minare i piani di Donald Trump che a Israele ha invece promesso “mano libera” nella Striscia.
L’annuncio dovrebbe arrivare dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dal leader francese Emmanuel Macron. Le armi dovrebbero tacere entro 36 ore dall’approvazione congiunta dell’intesa. «Stiamo continuando a lavorare con i nostri partner americani americani in questa direzione», ha confermato un portavoce dell’Eliseo. «Ci auguriamo – è l’auspicio di Parigi – che tutte le parti coinvolte colgano questa opportunità al più presto». Fonti vicine al presidente del Parlamento libanese Nabih Berri confermano ad Avvenire che Beirut ha ricevuto da Washington la notizia che «un accordo potrebbe essere imminente». Dopo le porte in faccia ricevute in oltre un anno di guerra a Gaza e nuovamente nel conflitto tra Hezbollah e Israele, gli Usa mostrano cautela. «L’accordo in Libano è vicino ma non sarà finalizzato fino a che non saranno concordati tutti i dettagli: le discussioni continuano, e dobbiamo portare avanti il lavoro», ha detto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americana, John Kirby.
Le ostilità si sono intensificate parallelamente alla pressione diplomatica. Nel fine settimana, Israele ha effettuato potenti attacchi aerei, uno dei quali ha ucciso almeno 29 persone nel centro di Beirut, mentre Hezbollah, sostenuto dall’Iran, ha scatenato una raffica di 250 razzi, mettendo a dura prova la contraerea israeliana. Mentre da Teheran la Guida suprema Ali Khamenei parlando alle milizie Basijis ha rinnovato le consuete minacce: «Deve essere emessa una sentenza di morte per Netanyahu e per i leader criminali di questo regime».
La diplomazia si è concentrata sul ripristino del cessate il fuoco basato sulla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che aveva posto fine alla guerra Hezbollah-Israele del 2006. La risoluzione prevede che Hezbollah ritiri i suoi combattenti a circa 30 chilometri dal confine israeliano. Funzionari israeliani avevano riferito che l’intesa non è lontana, «anche se ci sono questioni ancora da risolvere». Uno dei nodi è il ruolo di Unifil, la missione internazionale Onu. Tra le proposte messe in circolazione vi è l’immissione di un nuovo contingente composto da forze arabe in cui avrebbero un ruolo anche gli Usa. Di fatto, un esautoramento di Unifil e dell’Onu.
L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon, ha detto che i colloqui «stanno andando avanti», ma ha sottolineato che Israele manterrà la capacità di colpire il Libano meridionale in qualsiasi momento. A Beirut il vicepresidente del Parlamento libanese Elias Bou Saab ha dichiarato alla Reuters che non ci sono più «seri ostacoli» per l’attuazione del cessate il fuoco proposto dagli Stati Uniti. Secondo Bou Saab, la proposta comporterebbe il ritiro dei militari israeliani dal Libano meridionale e il dispiegamento delle truppe regolari dell’esercito libanese nella regione di confine. Ma sono i tempi a suscitare interrogativi: il piano dovrebbe essere attuato per 60 giorni, con una scadenza che coinciderà all’entrata in campo ufficiale di Donald Trump.
A dare la misura dell’avanzamento del dialogo è il campo di battaglia. Come di consueto prima del possibile ordine di togliere il dito dal grilletto, le parti in conflitto aumentano l’intensità dello scontro per ottenere vantaggi negoziali regolare conti. A Beirut ieri gli attacchi aerei israeliani hanno raso al suolo altri sobborghi meridionali controllati da Hezbollah, e altri edifici in zone semicentrali, avvolgendo la capitale in una nube di polvere e detriti. Il ministero della Sanità libanese afferma che gli attacchi israeliani hanno ucciso 3.768 persone in Libano e hanno costretto più di un milione di persone ad abbandonare le loro case. I dati sulle vittime non distinguono tra civili e combattenti. Gli attacchi di Hezbollah hanno ucciso 45 civili e 73 soldati nel nord di Israele.
Qualsiasi patto per il cessate il fuoco espone il governo Netanyahu a nuove spaccature. Il ministro della Sicurezza nazionale, l’esponente di estrema destra Itamar Ben-Gvir, ha già avvertito il premier: «Israele deve continuare fino alla vittoria assoluta. Non è troppo tardi per fermare questo accordo». Al contrario il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter sostiene la necessità di una intesa. Uno sviluppo negoziale getterebbe le basi per un rilancio nei colloqui per Gaza, dove le armi non smettono di scandire le giornate quando le temperature si stanno drasticamente abbassando e dove centinaia di migliaia di civili restano senza protezione e assistenza umanitaria.
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