
Un frame del video in cui si vedono le luci accese - Ansa
«La sirena e le luci erano accese». Tre settimane dopo, un video e una testimonianza rivelano la verità sul “massacro di Rafah”. All’alba del 23 marzo, quindici soccorritori, a bordo di un’ambulanza e di un camion dei pompieri, sono stati uccisi dal battaglione Golani nel sud di Gaza. I militari di Tel Aviv avevano subito precisato che i veicoli viaggiavano «senza segnali di identificazione» e per questo erano stati ritenuti «sospetti». Un video, recuperato dal cellulare di una vittima e inviato al New York Times da un diplomatico Onu che ha chiesto l’anonimato, mostra, però, i lampeggianti in funzione. A questo si è aggiunta la testimonianza di Munther Abed, operatore della Mezzaluna Rossa palestinese e, secondo quest’ultima, unico sopravvissuto. «Ci hanno sparato direttamente e deliberatamente. Poi hanno aperto la portiera e sono entrate le forze speciali. Mi hanno trascinato fuori e picchiato. Subito dopo è arrivato un veicolo della protezione civile e i soldati hanno sparato pesantemente contro di loro». I militari l’avrebbero interrogato e trattenuto per 15 ore: «Hanno detto che i palestinesi sono tutti terroristi» . Poche ore dopo, alla fine, anche le forze armate israeliane hanno dovuto ammetterlo. La prima versione – basata sui racconti dei soldati – era «errata», ha detto il general maggiore Yaniv Asor che ha condotto l’inchiesta. Quest’ultimo, tuttavia, si è affrettato di aggiungere che almeno sei dei medici morti sono stati identificati dall’intelligence come «funzionari di Hamas». E che gli spari non sarebbero stati esplosi da distanza ravvicinata. Per tanto non sarebbe stata un’esecuzione.
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Il funerale dei paramedici uccisi a Rafah - Reuters
La notizia ha aggiunto ulteriore tensione a quella già altissima per la ripresa dei combattimenti dopo quasi due mesi di stop. Le vittime, secondo il ministero della Sanità controllato dal gruppo armato, sono oltre 1.300 tra cui molti bambini. Addirittura l’Onu ha parlato di cento minori uccisi al giorno dal 18 marzo, in cui il governo Netanyahu ha ricominciato le ostilità nonostante l’opposizione della gran parte della società israeliana. Anche ieri in migliaia hanno manifestato a Tel Aviv contro il premier per avere abbandonato i 59 ostaggi ancora nelle mani del gruppo armato, di cui 24 ritenuti ancora in vita. Di due ieri Hamas ha diffuso un nuovo video di due sfumando i volti. I familiari li hanno, però, riconosciuti dalla voce: si tratta di Maksim Harkin, 36 anni, nato nella regione del Donbass in Ucraina. e Bar Kupershtein, 23 anni, sequestrati al Festival Nova. In questo contesto, domani, Netanyahu andrà a Washington per cercare di negoziare con Trump un accordo anti-dazi, limitati per Israele al 17%. Sarà il primo leader straniero a farlo. Per il viaggio, il premier ha chiesto di rinviare la testimonianza di fronte alla corte della settimana prossima, contrariamente al parere della procuratrice generale, Gali Baharav-Miara.