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A Londra o a Berlino gli unici aerei che ancora atterrano sono charter. Provenienza: Cluj o Bucarest. Non sono vacanzieri, sono rumeni chiamati a colmare i giganteschi buchi di mano d’opera agricola provocati dalla chiusura delle frontiere per via della pandemia. Perché l’esercito silenzioso dei lavoratori stagionali agricoli, in massima parte migranti Ue ed extra Ue, viene ora a mancare in modo drammatico, in Italia, Spagna, Germania, Francia, Danimarca, Regno Unito, Portogallo. In una lettera inviata a marzo dal Copa–Cogeca (la confederazione europea delle associazioni agroalimentari) e dal Consiglio europeo dei giovani agricoltori alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, si chiede che «siano prese tutte le misure » di fronte a una crisi che «sta avendo conseguenze drammatiche nelle aree rurali più colpite nell’Ue».
«L’imminente carenza di lavoratori stagionali agricoli – si legge anche in un rapporto del Parlamento Europeo– è grave fonte di preoccupazione, in quanto potrebbe gravemente compromettere la produzione e la lavorazione degli alimenti», mentre il presidente della Commissione Agricoltura dell’Europarlamento, Norbert Lins, ha proposto un «lasciapassare» speciale per gli stagionali. In Italia, la Coldiretti pochi giorni fa ha avvertito che il 40% di frutta e verdura non raccolta rischia di «marcire nei campi». La Commissione preme sugli Stati per consentire l’accesso degli stagionali, sulla base anche di una direttiva del 2014 che fissa le regole quadro.
Ma le risposte, come in vari ambiti in questa crisi, sono soprattutto nazionali. Non senza brusche virate, un esempio eclatante è la Germania, dove ogni anno lavorano 360.000 stagionali in massima parte migranti (per lo più dell’Est). A marzo il governo aveva decretato, con la chiusura delle frontiere, anche lo stop agli stagionali. «Questo divieto – ha tuonato subito il Dbv, l’associazione degli agricoltori tedeschi – colpisce duramente le nostre imprese». La stessa ministra dell’Agricoltura Julia Klöckner avvertiva che in aprile servono 35.000 lavoratori, 85.000 a maggio. Il governo ha dovuto fare macchina indietro, consentendo l’arrivo di 80.000 rumeni tra aprile e maggio, con charter ad hoc da Cluj per Berlino e Düsseldorf.
A ricorrere ai charter è stata anche la Gran Bretagna, che, ironicamente, aveva fatto dello stop all’immigrazione uno dei punti chiave della Brexit. Secondo la Cla (l’associazione di categoria), il Paese, che soprattutto nel settore ortofrutticolo si serve di migranti dall’Est, si è trovato di fronte, a un «buco tra i 70.000 e i 90.000» lavoratori. «Mai visto prima» ha dichiarato Mark Bridgeman, presidente della Cla. Il governo ha organizzato una prima serie di charter da Bucarest a Londra Stansted, per ora 600 persone, altre arriveranno. Non solo charter però: Germania e Gran Bretagna hanno lanciato una campagna di reclutamento tra i locali, che va benino nel Regno Unito ma non decolla nella Repubblica Federale. Iniziativa analoga ha preso anche la Francia, dove mancano 200.000 lavoratori agricoli. Tanto che il ministro dell’Agricoltura Didier Guillaume ha lanciato un appello rivolto a parrucchieri, camerieri, fiorai rimasti senza lavoro, chiedendo un «esercito ombra, di tutte le persone che vogliono lavorare. Dobbiamo produrre per nutrire i francesi ».
L’interesse c’è, ma quanti poi davvero lavoreranno nei campi non si sa. Allarme rosso anche in Spagna: in Aragona, Catalogna, Murcia, Extremadura, per raccogliere ciliegie, albicocche, pesche ogni anno arrivano 30.000 stagionali, 85% stranieri. Nella sola provincia di Huelva, in Andalusia, sono impiegati 16.000 stagionali marocchini ogni anno. Secondo Fedpex, un’associazione di categoria, serviranno 18.000 lavoratori a maggio a 28.000 a giugno. Il governo ha deciso di consentire di lavorare nei campi ai disoccupati senza perdere il sussidio, ma anche agli immigrati irregolari, un bacino di 100–150.000 persone.
Anche in Germania il governo ha annunciato o permessi di lavoro provvisori per richiedenti asilo tra aprile e ottobre, con un bacino di 156.000 persone. Il più radicale è stato il Portogallo: ha concesso permessi di residenza e lavoro temporanei per migranti e richiedenti asilo. Sullo sfondo, le condizioni spesso drammatiche di questi migranti. I quali, avverte Etuc (la confederazione dei sindacati europei), hanno problemi per «l’accesso ai giorni di ma-lattia, ai sussidi di disoccupazione, materiale protettivo». Particolarmente a rischio gli irregolari, che «non andranno in ospedale se contraggono il virus, per il timore di esser denunciati alla polizia». La risposta? «Misure per consentire l’accesso al sistema sanitario e/o la regolarizzazione».