
Alcuni partecipanti alla prima Assemblea sinodale - Siciliani
Sarà un punto di arrivo e insieme di partenza la seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia, in programma a Roma dal 31 marzo al 3 aprile. Punto di arrivo del cammino iniziato fin dal 2021. Ma anche di partenza, perché bisognerà tradurre in scelte concrete per la vita delle comunità ecclesiali le risultanze del lavoro. Lo afferma il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro della presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale.
Qual è lo scopo di questa seconda Assemblea, che segue di quasi cinque mesi la prima svoltasi a novembre?
«Faremo sintesi di tutto il cammino, ricchissimo di confronto, di dialogo e di riflessione nei gruppi. Sono state rielaborate le 17 schede tematiche che hanno costituito lo strumento di lavoro della prima assemblea sinodale e il materiale è stato tradotto in proposizioni, perché il compito di questa seconda assemblea è proprio focalizzare alcune questioni essenziali sulle quali si dovranno fare delle scelte. Il voto finale sulle singole proposizioni e su tutto il testo costituirà l’indicazione che l’assemblea offrirà ai vescovi per la loro assemblea generale di maggio, in cui verranno prese le decisioni operative. Ci collochiamo anche in un orizzonte più ampio che è quello del Sinodo della Chiesa universale, la cui Segreteria di recente ha tracciato un percorso che arriva fino al 2028 e con il quale dovremo necessariamente interagire».
C’è una nota unificante, o per lo meno dominante, nelle proposizioni?
«Il denominatore comune è la missionarietà. Parliamo di una Chiesa che si interroga su come far risuonare il Vangelo oggi, in questa cultura frammentata e in questo scenario sociale complesso. Una missionarietà basata sulla testimonianza, perché più che mai occorre essere credibili in ciò che si annuncia. Ma non dimentichiamoci che tutto accade in forza della sollecitazione del Papa a ridisegnare il volto della Chiesa in senso sinodale. Quanto più saremo capaci di essere Chiesa sinodale, tanto più saremo efficaci nella missione. Francesco ci ha detto che la sinodalità non è solo una forma, una modalità organizzativa, ma è l’essenza stessa della vita della Chiesa».
Il vescovo Claudio Giuliodori - Siciliani
E come sono articolate le proposizioni?
«In tre grandi aree. Quella della prossimità agli uomini e alle donne del nostro tempo. L’educazione alla fede, con il tema molto sentito dell’iniziazione cristiana e cioè della trasmissione della fede. E infine le forme di corresponsabilità e la gestione dei beni. In sostanza come camminare insieme e come usare le nostre strutture in questo orizzonte di Chiesa sinodale missionaria».
Il recente Consiglio permanente ha parlato di corresponsabilità nella missione. In termini pratici che cosa vuol dire?
«Significa da un lato dare un dinamismo alla sinodalità. Gli organismi di partecipazione vanno ripensati e meglio organizzati, forse – come molti chiedono – resi obbligatori, anche con l’introduzione di modalità e forme nuove (ad esempio la metodologia della conversazione nello Spirito). Da un altro lato c’è la questione della soggettività. Pensiamo al laicato. Una Chiesa missionaria che non guarda al mondo e gli ambienti di vita, come potrà essere un segno per il nostro tempo? È quindi necessario valorizzare il laicato, anche quello associato, individuando eventualmente nuove forme di ministerialità e di servizio. E poi il ruolo della donna: se ne è parlato molto. Ora dobbiamo apprezzarne e valorizzarne meglio il prezioso contributo. Così come i giovani. C’è un forte desiderio di dare loro fiducia e di inserirli anche nei luoghi dove si prendono le decisioni. Parliamo del futuro e quindi i giovani non possono che essere protagonisti. E c’è l’attenzione ai poveri, agli ultimi, che resta la cifra fondamentale della vita e della missione della Chiesa nel nostro Paese».
C’è anche una sfida culturale oggi per la Chiesa in Italia? Il cristianesimo non rischia di essere culturalmente marginale?
«Oggi c’è una diminuzione dell’espressione pubblica della religiosità. È indubbio che abbiamo meno persone che frequentano, meno battesimi, meno matrimoni. Ma altrettanto incontrovertibile è il dato della domanda di spiritualità. Faccio due esempi: il grande successo del libro di Aldo Cazzullo sulla Bibbia e il film The Chosen, molto apprezzato dagli spettatori. La grande sfida per noi sarà agganciare la domanda di spiritualità per farla maturare in una religiosità non esteriore o formale, ma autentica, e quindi in una vera esperienza di Chiesa.
La seconda grande sfida è quella di una presenza che sia in grado di scuotere le coscienze. Con tutti i temi che papa Francesco ha evidenziato: la sostenibilità ambientale e sociale, l’accoglienza dei migranti, la pace. Siamo chiamati ad affrontare in modo diverso questi scenari che sono davanti a noi.
La terza sfida è etica, soprattutto le questioni aperte e nuove sulla vita nascente e terminale. Tutti temi che richiedono da parte della Chiesa una parola che sia in grado di offrire con autorevolezza discernimento e orientamento».
Servizio ai poveri e sfide culturali sono in alternativa tra loro?
«Ricordo che negli anni ’90 questa domanda era di grande attualità. E il documento della Chiesa italiana per quel decennio fu intitolato “Evangelizzazione e testimonianza della carità”. Le due cose non possono essere contrapposte, anzi traggono forza l’una dall’altra. Perché la sostanza del Vangelo è l’amore, ossia la capacità di promuovere una cultura della solidarietà vissuta nella misura più alta, che sfocia nella santità. I santi ci insegnano ad amare gli altri, specie i più poveri e bisognosi. E quindi anche questo cammino sinodale è, e deve essere, nella luce del Concilio, un cammino di santità che declina nel modo migliore cultura e carità».
E a livello politico che indicazione viene da questo cammino?
«Tutto il cammino ha avuto un dialogo costante con le questioni sociali. E anche la Settimana Sociale di Trieste, con la riflessione sulla democrazia, è stata uno dei suoi passaggi fondamentali. Papa Francesco ci ha detto che viviamo in una democrazia malata che ha bisogno di cura e forse di una revisione profonda. I cattolici, in questo momento, non hanno la preoccupazione primaria di una rappresentazione diretta, ma sentono tutta la responsabilità di contribuire a una buona democrazia e a una partecipazione reale in un’epoca di disaffezione soprattutto da parte dei giovani. Quindi anche attraverso il cammino sinodale e l’attenzione agli ambienti di vita credo che si possa dare un contributo originale alla vita sociale del nostro Paese. Penso anche al tema dell’Europa. Un orizzonte con il quale dovremo misurarci».
Che rapporto c’è tra Cammino sinodale e Giubileo?
«Il Papa ha voluto dare al Giubileo la tonalità della speranza. In questo senso il Giubileo rafforza la speranza di una Chiesa che sappia e rinnovarsi nei suoi dinamismi, ma anche essere un segno più eloquente e maggiormente riconoscibile da tutti. Perciò, Giubileo e Cammino sinodale, che condividono l’idea del movimento, sono due dinamiche convergenti che ci permettono di cogliere meglio i segni di speranza, cioè quei segnali positivi e luminosi che accompagnano anche il nostro percorso e la sua attuazione».