venerdì 28 marzo 2025
Nel suo nuovo libro lo psichiatra esplora il tema universale della preghiera, non soltanto come atto religioso, ma anche come momento interiore di chi cerca un significato alla propria esistenza
Vittorino Andreoli

Vittorino Andreoli - Siciliani

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In un dialogo diretto e appassionato con Dio, nel volume Preghiera del non credente in uscita oggi per TS Edizioni (pagine 128, euro 12,90) e del quale anticipiamo qui il capitolo iniziale, Vittorino Andreoli evoca le domande più profonde dell'animo umano e dà voce alle tante persone che cercano, che non credono ma vorrebbero credere, che credevano e non credono più.

Sembra un paradosso, ma trovo che questo volume abbia un solo lettore possibile: il suo autore. È bellissimo cercare Dio, anche se non lo si trova e persino se non esistesse. Cercando una realtà necessaria, la si pensa, la si immagina e così la si vive. La ricerca diventa attesa, una condizione straordinaria della mente che dà corpo a ciò che ancora non c’è. Si aspetta e questo atteggiamento crea persino il proprio creatore. Si cerca il necessario ed è come se le tracce fossero dentro di noi. È bellissimo pensare di poter avere una esperienza diretta di Dio. Io lo cerco da tempo ma non è ancora tempo; io so che a lui piace incontrare, relazionarsi direttamente con le sue creature. La maniera migliore per occupare l’attesa è la preghiera. La preghiera del non credente. Esprime il bisogno del divino che c’è dentro l’umano.

Prima. Signore, non ti conosco ma ti penso, non so se esisti ma ti cerco, e giungo a desiderare che tu ci sia. E questo pensiero, mi dà sollievo e speranza. Non posso crearti io, sono un uomo fragile, ma proprio questa percezione mi spinge persino a pregare. Non so come fare, e mi riesce difficile se solo considero che tu non ci sei, ma mi pare impossibile che possa esistere io e non Dio. Nell’Inno alla gioia di Friedrich Schiller si invita a cercare, perché da qualche parte nel cielo ci devi essere tu, Dio. Ma io voglio trovarti qui sulla terra. Adesso ho bisogno di un Dio. Per questa vita. Non so nulla dell’aldilà. Sono attaccato a questa terra. Vedi Signore, non è difficile credere che qualcuno abbia fatto, non so come, questo mondo. E dentro ci sono anch’io. L’alternativa a te è pensare che in principio era il Caos. Il Big Bang. Lo so, anche Dio è una parola, ma non riesco a inginocchiarmi davanti al Caos, al Big Bang. A Dio sì! L’ho fatto, ma non so cosa dirgli, sono rimasto in silenzio, e ho sentito solo il mio silenzio. Come molti, io sono convinto che la bellezza e la complessità dell’universo non possano essere il risultato del Caos. È impossibile che l’ordine della natura, che la bellezza di una farfalla che nasce e trova subito il fiore su cui porre la proboscide e nutrirsi del nettare, sia una combinazione casuale. Non è possibile che la bellezza del cervello umano e delle sue funzioni sia prodotta dal Caos. Albert Einstein diceva che l’uomo deve faticare a scoprire una piccola legge dell’universo, men-tre è composto di una infinità di leggi... che qualcuno deve aver messo insieme armonicamente. Ma il grande scienziato non riusciva a immaginare che potesse esistere una relazione tra un Dio potentissimo e l’uomo, ciascun uomo. Io, invece, se penso a un Dio lontano, distaccato, enorme, Re dei re, sovrano del cielo e della terra, non provo alcun entusiasmo... e neppure interesse. Sento il bisogno di un Dio che mi possa ascoltare. Forse è un sogno impossibile. Come per un suddito venire ascoltato dal suo dominus. Come vedi, Signore, sono già entrato in un labirinto; non sarà ancora come quello costruito da Dedalo per il Minotauro a Creta, ma so che anche dal labirinto delle parole è difficile uscire. E ogni uomo rischia, pensando a Dio, di costruire la propria cella abitata dal dubbio dei propri limiti. Vedi, Signore, l’uomo, l’io-uomo, è complesso, ma anche tremendamente limitato. La sua complessità è il limite. Pensando a te, che forse sei e forse non sei, mi accorgo del mio pensiero, fatto di carne delicata, ma pur sempre carne. E tutto quello che ne emerge sa di carne. I miei pensieri su di te sono disperati e servono a sostenere che il cervello umano, forse la condizione umana, non possono comprenderti. Sei un mistero. Perché l’uomo è uno sconosciuto a se stesso. E non serve l’invito che si trovava scritto sul frontone del tempio di Apollo, a Delfi: «Conosci te stesso». Con il mio cervello non posso conoscere il mio cervello. Forse tu hai fatto l’uomo incapace di riconoscerti, eppure lo hai reso capace di desiderarti, di incontrarti. Perché? Perché vuoi rimanere nascosto nel buio della ragione... mentre sei vivo nella “logica dei sentimenti”?

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