Fannulloni, chiusi e poco speranzosi. Sono queste le caratteristiche principali dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, secondo i loro coetanei. Il dato emerge da un sondaggio di Ispos, su un campione di mille giovani, realizzato in occasione della prima indagine nazionale sul fenomeno dei Neet, che in Italia sono circa due milioni e rappresentano il 24% dei cittadini tra i 15 e i 29 anni. La ricerca, intitolata
Ghost (fantasma) è stata presentata ieri da We World, ong che si occupa dei diritti delle donne e dei bambini, insieme a Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza) e Anci, l’Unione dei Comuni. Anche attraverso le storie personali di 42 ragazzi di sette città, l’indagine ha evidenziato una stretta correlazione tra la condizione di Neet e la dispersione scolastica, che in Italia raggiunge il 15%, collocandoci agli ultimi posti in Europa. Il costo per la collettività di questo mancato investimento in capitale umano varia, secondo la ricerca di We World, in una forbice tra l’1,4% e il 6,8% del Pil. Circa il 25% dei giovani che non sono in formazione e non hanno nemmeno un’occupazione ha alle spalle una storia scolastica zoppicante, costellata da bocciature e cambi di indirizzo. Altri fattori sono poi la condizione economica e la situazione familiare. La disoccupazione, la separazione dei genitori, la malattia sono fattori che, più di altri, portano alla condizione di Neet. «La famiglia – osservano i ricercatori – assume un ruolo determinante e quasi deterministico: genitori con titolo di studio basso avranno con ogni probabilità figli poco istruiti». Tra le strategie da mettere in campo per combattere il fenomeno dei Neet, We World sollecita la costruzione di «relazioni stabili tra scuola, famiglia e territorio», creando così un «ambiente favorevole al recupero dei ragazzi fragili e a rischio di abbandono scolastico». Dalla «buona scuola che davvero introduca al lavoro», chiede infine di ripartire la deputata di Per l’Italia,
Milena Santerini.