lunedì 14 aprile 2025
L'Italia ha tempo fino al 7 giugno 2026 per il recepimento della Direttiva Ue. Stipendio non soddisfacente per oltre un italiano su due
Lavoratori italiani insoddisfatti del proprio stipendio

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L'Italia ha tempo fino al 7 giugno 2026 per il recepimento della Direttiva UE n. 2023/970 del 10 maggio 2023 sulla trasparenza retributiva. Nonostante i vari interventi in materia, tra cui il Codice delle pari opportunità e i vari tentativi promozionali della certificazione di parità di genere, stando agli ultimi dati, sembrerebbe che il vulnus delle disparità di genere e retributive continui a resistere (seppure vi sia una crescente consapevolezza da parte delle aziende della necessità di non trascurare questo delicato tema). «È in questo contesto di gender gap che andrà recepita in Italia – posizionatasi all'87esimo posto nella classifica del Global Gender Gap Index per il 2024la (nuova) normativa europea n. 2023/970 la quale, come qui tracceremo a grandi linee, pone ambiziosi obiettivi d'uscita dall'impasse - spiega l'avvocato Fabrizio Morelli, partner-responsabile del Dipartimento di Diritto del lavoro della DLA Piper Italia -. La Direttiva muove dagli obiettivi imposti a livello europeo di parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per lavoro "di pari valore" e generale divieto di discriminazione. È subito chiaro il messaggio che si propone di lanciare e lo spirito che la anima. Gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di sistemi retributivi che assicurino la parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. I sistemi retributivi dovranno ispirarsi al principio secondo cui la determinazione dei compensi avvenga sulla base di criteri oggettivi e neutri che includano le competenze, l'impegno, le responsabilità e le condizioni di lavoro, da applicarsi in modo da escludere qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso. Anche in fase pre-assuntiva, il datore di lavoro dovrà attenersi a criteri di equità e trasparenza che imporranno, tra gli altri, l'obbligo di fornire ai candidati, informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla relativa fascia da attribuire alla posizione in questione, sulla base di valutazioni oggettive e neutre sotto il profilo del genere; e se del caso, sulle pertinenti disposizioni del contratto collettivo applicate dal datore di lavoro in relazione alla posizione».

Contrariamente a quanto di fatto avviene molte volte in fase di reclutamento, i datori di lavoro non potranno più chiedere ai candidati informazioni sulle retribuzioni percepite «negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro». Importante ruolo viene affidato anche alle parti sociali. I lavoratori potranno, infatti, avvalersi anche dei loro rappresentanti (sindacali e/o organismi di parità) per richiedere e ricevere le informazioni. Inoltre, eventuali interventi correttivi in relazione a disuguaglianze e/o divari dovranno svolgersi di concerto con le organizzazioni legittimate e, verosimilmente, in Italia verrà disposto un obbligo informativo verso i sindacati e, a valle di ciò, una procedura di consultazione sindacale. I datori di lavoro dovranno ragguagliare i sindacati su un ampio spettro informativo, dai livelli retributivi medi dei lavoratori di sesso femminile e maschile alle componenti complementari o variabili, ravvivando e promuovendo di talché il ruolo delle parti sociali e il dialogo concertativo per il raggiungimento dell'obiettivo primario: la parità salariale.

«A coronamento del progetto riformatore, la Direttiva disciplina un'ampia e incisiva gamma di "mezzi di tutela e applicazione" dei principi ivi elencati - sottolinea Morelli -. Tutti i lavoratori (o le organizzazioni legittimate) potranno agire giudizialmente per l'applicazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione e per il risarcimento dei danni subiti. Gli Stati membri dovranno prevedere una incisiva normativa sanzionatoria che si sostanzierà in una scala di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive applicabili in caso di violazione dei diritti e degli obblighi connessi al principio della parità di retribuzione. Seppur in attesa dell'atto interno di recepimento per l'Italia, si riesce a ricavare la portata sfidante degli obiettivi europei: un'accelerazione "Mach 3" verso il rinnovamento sostanziale del sistema impresa volto alla concreta affermazione dei principi di dignità e parità sul lavoro. Come può facilmente intuirsi, l’adeguamento a queste nuove disposizioni non potrà essere immediato per via della complessità dei nuovi obblighi. È auspicabile, pertanto, che le aziende si attivino senza ritardi e per individuare tempestivamente - attraverso esercizi di due diligence che potranno risultare in alcuni casi anche particolarmente complessi - possibili aree di criticità ed adottare eventuali misure correttive».

Stipendio non soddisfacente per oltre un italiano su due

Per il decimo anno consecutivo, l'Osservatorio JobPricing, in collaborazione con InfoJobs, indaga sul panorama della soddisfazione salariale in Italia. Il report analizza il rapporto tra retribuzione, motivazione e soddisfazione dei lavoratori e delle lavoratrici italiane, mettendo in luce i fattori che influenzano la scelta, la permanenza o il cambiamento del posto di lavoro. Il dato più evidente è l’insoddisfazione diffusa: l’indice medio di soddisfazione retributiva si attesta a 4,2 su dieci, ben al di sotto della soglia della sufficienza. Solo il 4,1% si dichiara molto soddisfatto del proprio pacchetto retributivo, mentre oltre il 60% esprime un giudizio negativo. Tuttavia, l’indice è cresciuto negli ultimi due anni, passando da 3,8 del 2022, a quattro del 2023, all’attuale 4,2, in correlazione con l’aumento medio delle retribuzioni in Italia rilevato negli ultimi due anni.

Il report va oltre il solo salario fisso e adotta un approccio total reward, analizzando anche benefit, premi, flessibilità, formazione e altri elementi intangibili che influenzano il benessere delle persone. E proprio questi aspetti si confermano determinanti: la soddisfazione cresce in presenza di pacchetti retributivi articolati, dove la componente variabile, i benefit e il welfare incidono positivamente sul giudizio complessivo.

Gli indici peggiori sono legati alla fiducia nei sistemi di riconoscimento del merito: il punteggio sulla meritocrazia è il più basso in assoluto (3,4), seguito da “fiducia e comprensione” (3,6) e “performance e retribuzione” (4). Le persone che percepiscono solo una retribuzione fissa sono le meno soddisfatte in ogni ambito.

Il report mostra chiaramente che la presenza di un sistema di valutazione delle performance, soprattutto se strutturato e collegato alla retribuzione, è associata a livelli di soddisfazione più elevati. Dove il performance management è formalizzato, si registra un netto miglioramento dell’indice di soddisfazione generale – cha sale a 4,7 - e in tutti gli altri indici. In particolare: trasparenza, fiducia e meritocrazia.

Cosa conta davvero per scegliere, cambiare o restare in azienda? Se la retribuzione fissa è il primo fattore nella scelta di un nuovo lavoro, a trattenere le persone in azienda sono soprattutto le relazioni interpersonali, la flessibilità oraria e lo smart working. Gli elementi intangibili, spesso sottovalutati, pesano moltissimo sul senso di soddisfazione e sull’engagement.

Un quarto degli intervistati ha cambiato lavoro negli ultimi due anni e il 54% di questi si dichiara oggi più soddisfatto. Allo stesso tempo, due lavoratori su tre dichiarano l’intenzione di cambiare nel 2025, a dimostrazione di un malessere diffuso che va affrontato con politiche Hr più attente e inclusive.

Le donne si dichiarano sistematicamente più insoddisfatte rispetto agli uomini – soddisfazione generale donne 3,6 contro il 4,5 degli uomini - in tutte le dimensioni analizzate: il divario è particolarmente evidente su equità, meritocrazia, performance e retribuzione. I dati mostrano che le donne attribuiscono maggiore importanza alla flessibilità e allo smart working, ma percepiscono minore trasparenza nei sistemi di riconoscimento.

Retribuzione e benefit: le sfide dei datori di lavoro

Secondo la ricerca internazionale Hr & Payroll Pulse condotta da SD Worx, le priorità dei datori di lavoro italiani sono cambiate. Sale all’apice della lista la retribuzione e i benefit. Un’urgenza per i decisori Hr che si rispecchia con l’evidenza che siamo uno dei Paesi dell'Ue in cui i salari reali sono diminuiti di più negli ultimi quattro anni come mostrano anche le classifiche dell’Ocse su dati Eurostat. Se nel 2024 era il benessere dei dipendenti a occupare la prima posizione, scelto dal 39% dei rispondenti, oggi non solo questa sfida è scesa al secondo posto dell’agenda lavorativa, ma ha persino ottenuto 12 punti percentuali in meno rispetto all’anno precedente. Una tendenza, quest’ultima, comune agli altri Paesi europei coinvolti, anche se mediamente nel Vecchio Continente il benessere resta saldo al vertice con il 28% delle preferenze.

Il bronzo tricolore al lavoro flessibile (orario, remote working, modelli ibridi…) potrebbe, invece, evidenziare un ritardo nostrano se si considera che a livello europeo resta fuori dalle cinque posizioni di testa, piazzandosi solo alla sesta.

Restando oltre il confine nazionale si collocano, invece, al secondo e al terzo posto rispettivamente la fidelizzazione dei dipendenti (25%) e il recruiting di nuovi talenti (24%), mentre l'esperienza e il coinvolgimento del personale (23%) e la retribuzione e i benefit (22%) chiudono la lista delle cinque sfide del settore ritenute più urgenti dai decisori Hr intervistati. Rispetto al 2024, la recente panoramica europea rivela, comunque, nuove preoccupazioni in crescita. Per esempio, la conformità alle leggi e alla regolamentazione viene oggi citata dal 17% dei rispondenti (14% nel 2024), l'ottimizzazione delle paghe dal 14% (11% nel 2024) e la mobilità interna e la gestione delle carriere dal 13% (11% nel 2024).

Passando la parola ai dipendenti italiani, anche se le percentuali sono inferiori rispetto all’Europa, emerge che sei su dieci si dichiarano soddisfatti del proprio lavoro (vs 69% Ue) e la metà afferma di sentirsi coinvolto dalla propria organizzazione (vs 63% Ue). Un tema centrale rimane, però, la salute mentale: siamo il Paese più stressato con un dato del 63% (vs 56% Ue).

Analizzando in profondità, è singolare osservare come nel Belpaese la percentuale degli uomini che asseriscono di sentirsi in salute e in forma durante il lavoro sia maggiore rispetto alle donne (60% vs 49%), sebbene sia proprio la componente maschile a registrare il valore più alto (15% vs 9%) quando si analizzano le richieste di congedo per la propria salute mentale. Tuttavia, rispetto alla media europea (17,5%), siamo il Paese che si prende meno pause per motivi di salute mentale (12%). Un dato, però, da attenzionare è sicuramente l’8% dei giovanissimi (under 25), se si considera che si sono appena affacciati al mondo del lavoro.

Indagando, infine, la carriera professionale, i risultati mostrano, purtroppo senza sorprendere, una maggiore consapevolezza tra gli uomini. L’affermazione “vedo un percorso chiaro per la mia crescita professionale all’interno dell’azienda” ha ottenuto, infatti, il 39% delle preferenze dei dipendenti maschi contro il 27%, ben 12 punti percentuali in meno, di quelle delle donne.

Osservando in conclusione le dinamiche dell’occupazione, sebbene la fidelizzazione non si posizioni nella top 5 delle priorità dei datori di lavoro italiani, risulta che quasi due dipendenti su dieci (18%) siano propensi o addirittura stiano cercando un altro impiego in una nuova organizzazione o un’altra mansione all’interna della propria. Gli under 35 risultano essere i meno fidelizzati con una media di ricerca attiva del 28%, dato che conferma la crescita del fenomeno americano definito “jop hopping” (saltare da un lavoro all’altro) tra Millennials e Gen Z.

Zangrillo: salari più alti in base al merito

«Dobbiamo cercare di distribuire ricchezza anche tenendo conto del merito e quindi dotarci di un sistema di gestione delle persone che sia capace di valorizzare il merito». Lo dice il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, evidenziando che «il tema dei salari è un tema sicuramente fondamentale e fa parte di quel set di cose che dobbiamo tenere presenti se vogliamo ribadire l'attrattività della nostra organizzazione, della pubblica amministrazione». Zangrillo annuncia che la questione «è una priorità della nostra agenda» e ricorda che ha «presentato dieci giorni fa in Consiglio dei ministri un disegno di legge che introduce degli elementi di grande novità nella gestione delle persone proprio dal punto di vista del percorso di assegnazione obiettivi, di valutazione della performance e di premio del risultato». «Io ho lavorato con grande intensità in questi due anni intanto per garantire continuità ai rinnovi contrattuali e quindi - spiega il ministro - abbiamo stanziato risorse importanti sia nella precedente legge di Bilancio, quella del 2023 che quella del 2024 per 20 miliardi di euro, proprio per far sì che il tema dei salari sia una delle priorità nella nostra agenda». «Poi dobbiamo agire anche per cercare di utilizzare in modo corretto queste risorse - aggiunge - noi diventiamo attrattivi, abbiamo la possibilità di rendere il nostro posto di lavoro un luogo soddisfacente, un luogo desiderabile se effettivamente facciamo attenzione alla gestione delle nostre persone e fare attenzione alla gestione delle nostre persone significa anche occuparsi dei trattamenti retributivi. Occuparsi dei trattamenti retributivi significa essere capaci di differenziare e quindi premiare le persone che meritano e naturalmente andare in soccorso di chi è più in difficoltà».



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