lunedì 14 aprile 2025
Il Consiglio dei ministri degli Esteri condanna le bombe di Sumy. Kallas: «Arrivare a 2 milioni di munizioni a Kiev». Ma l’Ungheria: «È fanatismopro-guerra». Preoccupano anche i Balcani
L'alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas

L'alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas - Ansa

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Le bombe russe sulla Domenica delle Palme di Sumy scuotono il Consiglio Ue dei ministri degli Esteri e da Lussemburgo risuona l’imperativo del capo della diplomazia europea: per l’Ucraina occorre fare di più. Non un generico appello, perché Kaja Kallas indica una direzione precisa: «Allargare il mandato della missione che abbiamo per contribuire alle garanzie di sicurezza della coalizione dei volonterosi» e centrare al più presto «l'obiettivo di consegnare a Kiev 2 milioni di munizioni». La Russia, è il ragionamento dell’Alta rappresentante per la politica estera, ha commesso un errore ad attaccare Kiev e «non può vincere», perché «la volontà del popolo ucraino non è spezzata» e i Paesi europei, assieme a «molti altri», continueranno a sostenerlo con ogni mezzo.

Un traguardo che richiede di agire con decisione nei confronti di Mosca, che «era e resta l'aggressore in palese violazione del diritto internazionale», come ha ribadito la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, denunciando su X la «crudeltà» del «vile e barbaro atto» compiuto dall’esercito russo. L’Ue, prosegue il post, «continuerà a contattare i partner e a esercitare una forte pressione fino alla fine dello spargimento di sangue e al raggiungimento di una pace giusta alle condizioni imposte dall'Ucraina».

Da parte sua, Kiev teme ulteriori attacchi durante la Settimana Santa e ha la necessità di rinforzare le proprie difese aeree. Un’esigenza rappresentata dal ministro degli Esteri ucraino, Andrii Sybiha, che ha chiesto anche di aumentare le sanzioni alla Russia. Anche su questo fronte l’Unione è al lavoro, ma per approvare il 17esimo pacchetto sul tavolo dei 27 serve l’accordo di tutti e sul punto Kallas non è parsa particolarmente ottimista. L’ostacolo si chiama Viktor Orbán, con l’Ungheria sempre più contraria a un inasprimento. Ieri il ministro degli Esteri di Budapest, Peter Szijjarto, lo ha fatto capire in modo eloquente, bollando le proposte dei colleghi come «iniziative fanatiche e pro-guerra» e chiedendo di «porre fine alla politica fallimentare degli ultimi 3 anni».

In ogni caso, per Kallas, l’Europa è pronta a «esercitare la massima pressione sulla Russia, affinché metta fine» al conflitto, nella consapevolezza che Mosca «vuole davvero la guerra» e che «tutti coloro che invece vogliono che finiscano le uccisioni» dovrebbero fare fronte comune per fermarla.

Orbán a parte, la linea tracciata dalla ministra degli Esteri Ue è stata sostenuta dalla maggioranza dei colleghi presenti. A spingere sono stati soprattutto i Paesi più vicini alla Federazione, in particolare la Polonia, che ha fatto leva sull’attacco di Sumy per tirare in ballo Washington: «Spero che l'amministrazione Usa e il presidente Donald Trump vedano come Vladimir Putin si stia prendendo beffa dello loro buone intenzioni e reagiscano appropriatamente», ha attaccato il capo della diplomazia di Varsavia, Radoslaw Sikorski. La collega finlandese, Elina Valtonen, è stata altrettanto dura: «Credo che questo attacco dimostri che la Russia ha un totale disprezzo per il processo di pace, ma anche che non ha alcun riguardo per la vita umana, e purtroppo lo osserviamo anche sul campo di battaglia».

In questo quadro le tensioni nei Balcani restano sotto la lente di ingrandimento sia dell’Ue sia della Russia e ovviamente raffreddano il percorso di ingresso nell’Ue dei Paesi coinvolti. Kallas ha messo in chiaro che è interesse dell’Unione «mantenere basse» le tensioni e che il modo migliore per farlo è aprire il prima possibile a tutti gli Stati occidentali della regione. Ma la politica estone sa bene che non esistono automatismi e che, grazie alle forniture energetiche, il Cremlino è in grado di esercitare su Bosnia, Serbia e Macedonia del Nord un soft power tutt’altro che marginale. Per questo ha chiarito di aspettarsi che «nessun Paese candidato all'ingresso nell'Ue si rechi a Mosca» per l’annuale parata militare del 9 maggio e che le celebrazioni «non saranno prese alla leggera dalla parte europea, considerando che la Russia sta conducendo una guerra su vasta scala in Europa».

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