lunedì 14 aprile 2025
Il presidente Usa: non ho niente a che vedere con questo conflitto ma sono al lavoro per fermarlo. E sulla strage di Sumy: mi dicono sia stato un errore dei russi
Gli attacchi russi contro Sumy nella Domenica delle Palme hanno provocato 35 morti

Gli attacchi russi contro Sumy nella Domenica delle Palme hanno provocato 35 morti - Reuters

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L’allarme è già scattato da giorni: il Cremlino è pronto a lanciare un’offensiva sulla regione di Sumy. E anche su quella di Kharkiv. Entrambe oblast dell’Ucraina orientale. Ed entrambe lungo la frontiera con la Russia. Terre che Vladimir Putin potrebbe utilizzare come merce di scambio al tavolo dei negoziati, è l’ipotesi ucraina. Magari per impossessarsi completamente delle regioni di Donetsk e Zaporizhzhia che ancora non ha conquistato del tutto. Di certo c’è solo che l’apertura dei colloqui con Mosca voluti dall’Amministrazione Usa si è portata dietro un’escalation di attacchi. L’ultima, terribile, conferma con la strage della Domenica delle Palme: 35 morti (di cui due bambini) e 117 feriti nel centro di Sumy per due missili russi piombati al mattino sulle vie del passeggio affollate di famiglie e di fedeli diretti alle chiese. Per tutta la giornata del 14 aprile, il massacro è stato al centro di un botta e risposta a tre – russi, ucraini, americani – che la dice lunga sullo stallo delle trattative, molto distanti da quello stop alle armi ipotizzato da Trump per il 20 aprile. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rivendicato il raid sostenendo che nel mirino a Sumy c’era una riunione delle forze armate ucraine dove si sono avuti «60 morti». «I nostri militari colpiscono esclusivamente obiettivi militari», ha detto. Il ministero della Difesa ha anche accusato Kiev di usare la gente «come scudo umano organizzando eventi con la partecipazione di personale militare nel centro di città densamente popolate». L’incontro c’era davvero, a Sumy: la premiazione della Brigata 117 con le rispettive famiglie. Pubblicizzata sui social dal capo dell’amministrazione militare regionale, Volodymyr Artyukh, di cui vengono chieste le dimissioni. Ma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribattuto a distanza che «tutti i siti danneggiati sono civili». E ha chiesto maggiori pressioni su Mosca: «Se non fermiamo Putin rischiamo una guerra mondiale». Infine, è arrivato Trump. «Mi è stato detto che la Russia ha commesso un errore. Credo sia così», ha commentato. E, di fronte alle difficoltà dei negoziati, ha scaricato a modo suo le responsabilità. Prima sul «presidente Zelensky e Joe Biden», che «hanno fatto un lavoro orribile». Poi correggendo il tiro: «Questa è una guerra che non avrebbe mai dovuto iniziare – ha sentenziato il tycoon –. Biden non è riuscito a fermarla, e Zelensky avrebbe potuto farlo. E Putin non avrebbe mai dovuto iniziarla. La colpa è di tutti». La conclusione? «Non ho nulla a che vedere con questa guerra, ma sto lavorando diligentemente per fermare rapidamente la morte e la distruzione».

Erano le dieci di domenica quando è scattato l’allarme anti-aereo su metà del Paese. «Mentre pregavamo a Kiev nella Cattedrale, abbiamo sentito il suono delle sirene – racconta ad Avvenire il nunzio apostolico, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas –. Appena finita la celebrazione, abbiamo saputo che c’era stato un attacco missilistico a Sumy. Proprio nel momento in cui la gente andava a pregare in occasione della Domenica in cui si fa memoria dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme». Festeggiata quest’anno nella stessa data dai cristiani d’Occidente e d’Oriente che, per una coincidenza di calendari, celebrano la Pasqua insieme il 20 aprile. Il primo ordigno è piombato su via Petropavlivska, mentre passava un filobus. «L’autobus della morte», lo ha ribattezzato il sindaco Artem Kobzar, dove fra i sedili si avrà il maggior numero di morti. A salvare chi era rimasto in trappola il 13enne Kirill Ilyashenko. «Mi trovavo in auto con mamma Marina. Sono stato ferito alla testa dalle schegge, ma ho rotto il vetro e sono salito sul mezzo in fiamme. Era un inferno». Il razzo è finito di fronte al palazzo-congressi dell’Università di Sumy. «Sarebbe stata una carneficina se fosse accaduto un’ora dopo – ripetono in città –. Alle 11 era previsto uno spettacolo per ragazzi nel salone dell’ateneo che era tutto esaurito». Il secondo missile è arrivato poco dopo, mentre i soccorritori erano già sul posto. Tecnica consolidata: colpire chi interviene. «Si tratta di un crimine crudele e cinico contro i civili – dice il vescovo greco-cattolico di Kharkiv, Vasyl Tuchapets, nella cui diocesi rientra Sumy –. È difficile spiegare come quanti si dicono cristiani possano comportarsi così». E il nunzio ammonisce: «È la settimana della passione per l’Ucraina». Ad essere devastato è stato un quartiere residenziale. «I nostri volontari hanno subito offerto aiuto alle famiglie e agli sfollati – racconta padre Oleksandr Arystarkh Dyadya, direttore della Caritas greco-cattolica di Sumy –. Poi abbiamo distribuito pacchi nel quartiere di Romenskyi dove sono state evacuate molte persone provenienti dalle comunità di confine». Almeno 30mila quelle che hanno già lasciato gli abitati sotto il fuoco costante dei russi. Perché non è solo sul capoluogo che si accanisce Mosca. Ma sull’intera regione che, agli occhi del Cremlino, ha la colpa di essere il territorio da cui è partita ad agosto l’incursione ucraina verso la vicina regione russa di Kursk. Un’operazione che, per Putin, è stata un’umiliazione. Tuttavia l’azione sta sfumando. Non solo gli assalti delle truppe di Mosca stanno espellendo i militari di Kiev da Kursk, ma alcune avanguardie di Putin sono penetrate in una manciata di villaggi a ridosso del confine creando una piccola enclave a Sumy. Una vendetta testimoniata anche dalla ricostruzione degli 007 di Kiev sulla strage delle Palme: uno dei missili è partito da Kursk. L’oblast dove, spiega il portavoce del gruppo ucraino Silersk, «la Russia ha concentrato oggi il maggior numero di soldati».

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