
Il bacio di Giuda nell’interpretazione di Cimabue - WikiCommons
In un passaggio di Il Regno (2014), per spiegare la diffidenza che la conversione di Paolo doveva aver suscitato nella comunità di Gerusalemme, Emmanuel Carrère propone un paragone con la Rivoluzione russa: è come se un generale bianco, che fino a poco prima aveva militato nei ranghi dei controrivoluzionari, si fosse presentato a Mosca pretendendo di impartire lezioni di bolscevismo a Lenin. Una suggestione per certi aspetti simile, ma declinata in modo molto più drammatico e, oltretutto, a parti rovesciate, si trova in Giuda Iscariota. L’apostolo traditore di Sergej Nikolaevic Bulgakov (Edb, pagine 140, euro 19,50). Il volume, curato con la consueta finezza da Lucio Coco, raccoglie due scritti finora inediti nel nostro Paese ed entrambi incentrati sull’enigma della vicenda di Giuda. Un tema sotto molti aspetti classico, che Bulgakov affronta da una prospettiva originale, germinata all’interno della tradizione ortodossa e nutrita dalla frequentazione assidua della spiritualità e della filosofia occidentali. Questo è, del resto, il tratto caratteristico del grande teologo russo, ancora poco conosciuto nel nostro Paese a dispetto dell’ormai ricca bibliografia utilmente ricapitolata dallo stesso Coco.
Figura esemplare della diaspora post-rivoluzionaria, Bulgakov era nato nel 1871 a Livny e si era formato a Mosca, dove era entrato in contatto con numerosi intellettuali e aveva stretto amicizia con Pavel Florenskij. L’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1918, lo aveva esposto a una serie di vessazioni e persecuzioni culminate con l’espulsione dal Paese decretata il 30 dicembre 1922, nello stesso giorno della proclamazione dell’Unione sovietica. Nel 1925 si era stabilito a Parigi come professore di Teologia dogmatica presso il celebre Istituto San Sergio. Alla sua morte, nel 1944, lasciò un’opera affascinante e complessa, che ha il suo nucleo ispiratore nel concetto di «sofianità», l’incessante azione dello Spirito nella concretezza della storia. «La sofianità del mondo – si legge in Giuda Iscariota – è la divinità del suo fondamento, il suo essere creato è la relatività e la limitatezza della sua esistenza».
Da qui discende anche il dramma dell’«apostolo traditore», che non smette di essere apostolo neppure quando materialmente consegna Gesù ai suoi accusatori. Sia nel primo saggio (che dà il titolo al libro e risale al 1931), sia nel secondo, “Due eletti” (che uscì postumo nel 1977 e sviluppa il raffronto tra Giuda e Giovanni), Bulgakov insiste sul significato autentico del greco prodosìa, che indica l’atto del consegnare prima ancora del tradimento. Allo stesso modo, l’autore respinge l’interpretazione convenzionale del Giuda «mercante pessimo», che non vede l’ora di intascare la taglia concessa dal Sinedrio. I trenta denari sono una cifra troppo modesta per giustificare da soli la fosca impresa della prodosìa. Più che una ricompensa, costituiscono un risarcimento simbolico, che senza dubbio viene incontro alla latente venalità di Giuda. Ma è il «luciferismo» la vera colpa dell’apostolo infedele. Ed è a questo punto che entrano in scena i bolscevichi.
L’analogia è sviluppata da Bulgakov nello studio del 1931, che è il più ampio e anche il più vicino al trauma dell’esilio. Attraverso la lettura attenta dei Vangeli, Bulgakov propone un profilo di Giuda come unico «cittadino» in mezzo ai Dodici (è il solo il cui appellativo faccia riferimento al luogo di origine, Keriot), circostanza che lo rende «un intruso tra i semplici figli della natura». Per lui, suggerisce lo studioso, l’istanza di liberazione di cui Gesù è portatore si connota subito e irreversibilmente in senso politico: «La vista della povertà della gente dell’oppressione ne fanno un rivoluzionario, forse, lo spingono sulla via del terrore politico e, al contempo, ne fanno anche un “materialista economico” – nel suo socialismo messianico». E ancora: «… più di tutto era un giudeo messianico […], un rivoluzionario, un marxista messianico, un “bolscevico”».
La consegna del Maestro deriva dunque da considerazioni ideologiche, le stesse che, a tradimento avvenuto, inducono Giuda alla tardiva testimonianza del pentimento e alla terribile decisione del suicidio (i discepoli si erano detti a disposti a morire per Gesù, «tuttavia non morì nessuno, tranne Giuda», annota Bulgakov in “Due eletti”). Questa interpretazione non sarebbe di per sé sufficiente a sciogliere il dilemma teologico, per il quale è necessario fare ricorso alla dinamica della sofianità e della paradossale compartecipazione del diavolo stesso all’evento della Redenzione.
Una soluzione simile è stata offerta da Giuseppe Berto in La gloria (1978), che assegna a Giuda un compito tanto infame quanto provvidenziale. Nel romanzo Berto riversava tra l’altro le sue esperienze con la psicanalisi, mentre Bulgakov rievoca la brutalità della «teomachia» messa in atto dall’Urss, una guerra a Dio che è in realtà «cristomachia», e cioè guerra al Cristo. «Il tradimento di Giuda – conclude – ha fatto sì che Cristo fosse immolato sulla croce come una nuova pasqua nel giorno di Pasqua. E l’uccisione di Cristo nei cuori e negli animi della Russia cela la Risurrezione di Cristo».