
Una degustazione di vini in una fiera italiana
Calice contro calice, dazi contro dazi. Il vino, protagonista tradizionale di convivialità e spesso simbolo di amicizia tra i popoli, potrebbe diventare a breve uno dei principali elementi di conflitto commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. L’intenzione annunciata dal presidente Usa Donald Trump di incrementare i dazi sui vini europei al 200% (in risposta ai dazi Ue sul whisky americano) spaventa il mondo dell’enologia. L’Italia lo scorso anno ha spedito negli Usa il 24% del totale export globale per un controvalore di 1,93 miliardi di euro (+10% sul 2023) che rischierebbe di azzerarsi quasi completamente nel caso di dazi al 200%. L’Ue potrebbe arrivare a perdere un valore complessivo delle esportazioni verso gli Usa pari a 8 miliardi di euro, mentre le stesse categorie di prodotto esportate dagli Usa verso l’Ue arrivano al massimo a circa 1,35 miliardi: secondo l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), il “gioco a perdere” è evidente, con un rapporto di 6 a 1.
«A perdere – aggiunge il presidente Uiv, Lamberto Frescobaldi – sarebbe anche tutta l’industria del wine&food americana, perché per ogni euro di vino d’importazione acquistato se ne generano 4,5 in favore dell’economia statunitense. L’escalation delle guerre commerciali genera situazioni grottesche, in cui tutti si trovano a perdere. Siamo al sonno della ragione che genera mostri, speriamo in un pronto risveglio da questo incubo». Il Veneto sarebbe la regione più colpita perché il mondo del Prosecco (Prosecco doc, Conegliano Valdobbiadene Prosecco docg, Asolo Prosecco doc) è particolarmente apprezzato negli Stati Uniti. Già a novembre, subito dopo l’elezione di Trump, gli importatori ne hanno intensificato gli acquisti per anticipare i possibili effetti negativi dei dazi, con una crescita di spumante italiano del 41%, una percentuale decisamente superiore rispetto all’effettiva domanda del mercato interno americano.
«Il Prosecco – commenta Stefano Gava, direttore generale di Val d’Oca (brand specialistico della Cantina cooperativa Produttori di Valdobbiadene) – ha trovato una forte e crescente domanda nel mercato statunitense. I dazi potrebbero ostacolare l’accesso dei nostri prodotti e aumentare i costi per i consumatori, riducendo il volume delle vendite e danneggiando le relazioni commerciali che abbiamo costruito nel corso degli anni. Riteniamo che il dialogo e la cooperazione siano fondamentali per risolvere le dispute commerciali in modo costruttivo». Anche in Piemonte e in Toscana le opinioni non sono molto diverse. «È una fase difficile di attesa – racconta Gianfranco Toso, ad di Cantine Toso – vissuta sperando Trump ritratti. La provincia di Cuneo esporta per un valore superiore al 50 % del Pil e, in gran parte, si tratta di bevande e prodotti alimentari. Già stiamo pagando gli aumenti dei costi dell’energia e delle materie prime. I vini rossi sono ancora più in crisi rispetto ai bianchi, mentre il comparto degli aperitivi (il vermouth, per esempio) soffre un po’ meno: in generale, comunque, fare la spesa costa di più, gli stipendi non sono aumentati in proporzione e anche nella grande distribuzione si sono ridotte le vendite. In un momento già problematico, con una riduzione evidente dei consumi di vino, i dazi sarebbero molto pesanti».
Francesco Mazzei, ceo della Marchesi Mazzei e presidente Avito (l’associazione che riunisce tutti i consorzi della Regione), esprime profonda preoccupazione: «Un incremento dei dazi – dice - avrebbe effetti devastanti. Non solo influenzerebbe i consumatori, ma costringerebbe anche le aziende a rivedere le loro strategie di mercato, con il rischio di aumenti dei prezzi e perdita di posti di lavoro. Le trattative diplomatiche e commerciali sono fondamentali per evitare escalation che possano danneggiare le relazioni economiche tra gli Stati Uniti e l’Europa. È una situazione da gestire con equilibrio e diplomazia». I dazi rischiano di penalizzare soprattutto coloro che propongono vini nelle fasce di prezzo più accessibili. Ad esempio, per Cantine Settesoli di Menfi (una cooperativa da oltre duemila soci e venti milioni di bottiglie) l’export Usa rappresenta il 5% del fatturato complessivo di tutti i brand: «Il settore del vino – commenta il presidente Giuseppe Bursi – subirà dei danni enormi. Il prezzo dei nostri prodotti nel mercato Usa si attesta attorno ai 13-14 dollari. Una maggiorazione del prezzo del 25% significherebbe superare la soglia dei 15 dollari, comportando una contrazione importante per la fascia in cui ci inseriamo. I vini premium soffriranno meno perché chi ha una disponibilità economica maggiore è disposto a spendere di più».
Qualche speranza potrebbe provenire dall’appeal che l’Italia ancora esercita Oltreoceano, ma il quadro resta molto incerto, come spiega Mariangela Cambria, della cantina Cottanera e presidente di Assovini Sicilia (l’associazione che raccoglie 101 produttori dell’isola): «Dopo l’Europa, il Nord America è il secondo mercato d’esportazione per l’82,6% dei nostri soci. I dazi sarebbero un colpo durissimo per il fatturato dei produttori siciliani, ma io sono fiduciosa: il made in Italy è troppo amato negli Usa e una decisione del genere sarebbe veramente impopolare. Mi auguro che Trump faccia marcia indietro».