giovedì 8 ottobre 2009
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Incostituzionale! Per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione, e quando ieri le agenzie hanno diffuso la bocciatura del "Lodo Alfano" perché contraria alla Magna Carta, i docenti di diritto costituzionale hanno immediatamente pensato alla sentenza analoga che la Corte Costituzionale emanò nel 2004, quella sul cosiddetto "Lodo Schifani", ma tutti si riservano di leggere le motivazioni che hanno spinto oggi l’Alta Corte ad andare contro un suo precedente giudicato. Francesco Saverio Marini, che insegna Istituzioni di diritto pubblico all’Università romana di Tor Vergata riconosce tuttavia alla Corte il diritto di cambiare opinione, «tant’è – dice – che lo ha fatto». Quanto a quella di ieri che, almeno nel nucleo centrale si fonda sulla violazione del principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e dell’articolo 138 che disegna il meccanismo per la revisione costituzionale, sicuramente per Marini va nel segno perché quanto meno i dubbi di incostituzionalità esistevano. «Nella precedente sentenza – ricorda il giurista – la Corte ritenne però che la sospensione del processo fosse un valore che doveva essere considerato dal legislatore ordinario che avrebbe potuto, in altri termini,  fare una mediazione». In quella sentenza la Corte riconosceva la possibilità al legislatore ordinario di intervenire su questa materia. «Adesso – sottolinea Marini – legittimamente è cambiato anche il collegio e la Corte ha cambiato opinione. Sotto il profilo istituzionale – nota ancora – è un po’ strano che la Corte si rivolga al Parlamento chiedendo modifiche, il parlamento accoglie il suggerimento e la Corte poi ritenga che le modifiche da essa stessa suggerite siano incostituzionali».Per Marini, in ogni caso, è impeccabile anche questa nuova decisione sulla base dell’articolo 138, quando ritiene che ci sia bisogno di una legge costituzionale. «La Corte – insiste il docente di Tor Vergata – doveva però rimanere fedele al precedente giudizio anche perché i precedenti presuppongono una legittimazione, altrimenti viene il sospetto che siano state valutazioni politiche e non giuridiche a ispirarlo». In conclusione, secondo Marini: «La critica va rivolta non alla sentenza di oggi ma a quella di cinque anni fa che lasciava aperti dei margini per prevedere queste eccezioni e che potessero essere disposte con legge ordinaria».Le motivazioni ancora non si conosco, dunque possono essere soltanto intuite, come precisa Aldo Loiodice, ordinario di diritto costituzionale all’Università europea di Roma. «La violazione del principio di uguaglianza – argomenta il giurista – come base dell’incostituzionalità, nella giurisprudenza è stata utilizzata trasformandola in principio di ragionevolezza. Occorre aspettare adesso la motivazione per capire se la ragionevolezza sia stata grossolana o raffinata. In ogni caso, quella proposta dal "Lodo Alfano" non era una vera e propria immunità, ma soltanto una sospensione temporanea di tipo processuale, seguendo appunto la pronuncia del "Lodo Schifani". Adesso la Corte la dichiara incostituzionale ed occorre vedere come ha motivato questo giudizio. Il vero problema per la Corte, sembra però chiaro, è quello di mettere un freno alla ingerenza di alcuni pubblici ministeri nell’ambito politico, attraverso la strumentalizzazione mediatica. Una iniziativa di indagine penale da noi viene amplificata e, quando riguarda personaggi che governano il Paese, bisognerebbe lasciare tranquillità. La Corte si rende conto di tutto questo e suggerisce di fatto di seguire la via della legge costituzionale invocando appunto l’articolo 138».Anche Marco Olivetti, che insegna diritto costituzionale all’università di Foggia mostra qualche perplessità confrontando la sentenza di ieri e quella di oggi. «L’articolo 3 – spiega – richiede assieme all’uguaglianza davanti alla legge l’eguale sottoposizione davanti alla legge. Eccezioni a questo principio sono previste, ma con legge costituzionale. Dunque, la Corte con questa sentenza segue un discorso lineare e corretto. In fondo, se qualcosa si può rimproverare alla Corte è quello che ha scritto nella sentenza del 2004 in cui non ha detto con chiarezza queste cose che dice oggi ma, anzi, lasciava intravedere la possibilità di qualche eccezione al principio della sottoposizione alla legge di tutti i cittadini anche con con legge ordinaria».La decisione di ieri, per Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, dovrebbe essere accolta senza trionfalismi o drammatizzazioni, ma con serenità. «La Corte – spiega – evidentemente ha ritenuto che occorra una legge costituzionale per toccare un aspetto che incide sull’eguaglianza dei cittadini e riguarda, sostanzialmente, una sfera di immunità».«La decisione della Consulta mi pare corretta. Indica una strada, certo difficile e tortuosa, che il Parlamento avrebbe già dovuto seguire nel 2004: quello della modifica costituzionale», dice il costituzionalista Augusto Barbera. «Posso dire – aggiunge – che il riferimento al principio dell’eguaglianza dei cittadini risulta assorbito dal rilievo sull’articolo 138, la necessità delle modifiche costituzionali. In pratica, se il Parlamento approvasse il Lodo cambiando la Costituzione, la legge che congela i processi per le più alte cariche dello Stato non potrebbe più essere sospettata di incostituzionalità con riferimento al principio di eguaglianza».Per Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, la Corte ha fatto semplicemente il suo mestiere. «La decisione – dice – non poteva che essere questa. C’era una legge che per ampio consenso dei costituzionalisti era incostituzionale, quindi non poteva che essere dichiarata tale. Non è una sorpresa che la Corte adotti un dispositivo di accoglimento, una dichiarazione di illegittimità costituzionale».
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