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Bambini con cartelli in arabo: «Non vogliamo morire». La protesta popolare contro la guerra e contro Hamas a Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza - Ansa
La speranza ha il volto di un bambino che innalza sorridendo una bandiera bianca. «Stop the war» è scritto sul cartello di un altro ragazzino. Per il secondo giorno consecutivo, dalla Striscia di Gaza sono arrivate le immagini di un’inedita protesta. Centinaia di manifestanti, quasi tutti uomini e ragazzi, sono sfilati in mezzo alle macerie di Beit Lahia, nel nord – una delle località più devastate dai raid –, e poi nel campo profughi di Jabalia e, nel sud, a Khan Yunis. La scena si è ripetuta nel quartiere occidentale di Gaza City, Shejaiya. «Non vogliamo morire», è scritto in arabo sui cartelli.
Non è chiaro chi abbia dato il via. La protesta, che appare organizzata, è cominciata martedì vicino all’ospedale Indonesiano di Beit Lahia. Il passaparola, corso anche su Telegram, ha funzionato. «Siamo stanchi di bombardamenti, uccisioni ed evacuazioni» spiega Ammar Hassan all’agenzia France Press. Dice che a Shejaiya hanno cominciato in pochi, ma sono arrivati a duemila persone. Come testimoniano i video, uomini scandivano: «Fuori, fuori, fuori! Hamas vada fuori!». A Jabalia sono stati bruciati pneumatici al grido di «Vogliamo mangiare». In un video da Beit Lahia un’anziana, brandendo una stampella di legno, dice: «Sono stata un anno e mezzo in strada, ho vissuto accanto a un carro armato. Ho 75 anni». Un uomo ha detto all’Afp di aver visto «membri della sicurezza di Hamas in abiti civili che cercavano di disperdere la gente». Lui dice di aver partecipato «per mandare un messaggio: basta guerra».
Come avvenuto in precedenti occasioni, sui telefonini dei gazawi sono spuntati Sms di Israele esortanti alla ribellione: «Hamas insiste nel portarvi alla distruzione», «Liberatevi di Hamas». Si è rivolto ai palestinesi anche il ministro della Difesa, Israel Katz: «Hamas sta mettendo in pericolo la vostra vita, facendovi perdere le vostre case e sempre più territorio», ha detto in ebraico, sottotitolato in inglese, in un video postato su X. Aggiungendo, per maggior concretezza, che «l’esercito effettuerà presto operazioni con la massima forza in nuove aree». Un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha definito i manifestanti «megafoni di Israele», accusando lo Stato ebraico di «avere avviato le proteste».
Un’accusa uguale e contraria a quella che il governo di Benjamin Netanyahu ha mosso ai manifestanti israeliani, che sempre più numerosi scendono in piazza ogni giorno denunciando che il governo farebbe politica con la vita degli ostaggi. Centinaia di universitari, anche docenti, hanno sfilato vicino all’abitazione del premier a Gerusalemme. Un gruppo di attivisti di Mounted Battalions, invocando la disobbedienza civile, ha bloccato l’autostrada che collega Gerusalemme a Tel Aviv. Dopo la decisione del premier di rimuovere il capo dello Shin Bet e la procuratrice generale, e dopo il cambio ai vertici delle forze armate, l’opposizione accusa Netanyahu di abusare del potere e di essere succube dell’estrema destra messianica che lo tiene al governo, interessata a colonizzare i territori dei palestinesi. In serata una grande manifestazione si è svolta a Gerusalemme, dove i parlamentari d’opposizione hanno allestito i loro “uffici” fuori dalla Knesset, dov’era in discussione il controverso disegno di legge che aumenterebbe notevolmente il controllo politico sulle nomine dei giudici. Accusando gli avversari di «seminare anarchia nelle strade», Netanyahu ha tuonato che «a essere in pericolo non è la democrazia, bensì il potere dei burocrati». E ha ribadito che «quanto più Hamas persisterà nel suo rifiuto di rilasciare gli ostaggi, tanto più forte sarà la pressione» militare, che «include la conquista di territori e altro». L’obiezione di Hamas: «Ogni volta che l’Idf (l’esercito, ndr) tenta di recuperare con la forza i suoi rapiti, finisce per riportarli indietro nelle bare».
Mentre sono saliti 142mila i nuovi sfollati in una settimana – con il 90% della popolazione evacuata almeno una volta dal 7 ottobre 2023 (dati Onu) –, prosegue il blocco israeliano all’ingresso di aiuti umanitari. Dal 2 marzo nell’enclave non entra nulla. Stando al ministero di Hamas, sono 322 i minori uccisi dalla ripresa dei combattimenti il 18 marzo, pari al 39% degli 830 morti. «È assolutamente necessario un cessate il fuoco permanente – è l’appello di padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza – affinché la popolazione civile cominci a sentire una speranza».
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La grande manifestazione a Gerusalemme, mercoledì sera, contro il governo di Netanyahu e per un accordo sul ritorno degli ostaggi - Reuters