Dopo la tortuosa vicenda che ha portato al Mattarella-bis, ci vorrà tempo perché il sistema dei partiti si riassesti. Ci sono spinte contrastanti: da un lato la tentazione, a un anno dalle elezioni, di mantenere lo "status quo", che però ha rivelato tutte le fragilità proprio durante l'iter di elezione del presidente della Repubblica; dall'altro lato c'è l'opzione di una grossa verifica trasversale dentro i partiti e dentro le coalizioni, che potrebbe anche portare a cambiare la legge elettorale. Vediamo tutti i fronti interni.
Centrodestra: Meloni, Salvini e Berlusconi si sfidano sulla "ricostruzione"
Dopo gli alti e bassi della settimana quirinalizia, Giorgia Meloni e Matteo Salvini si sono trovati, alla curva decisiva, su fronti diversi. Il capo della Lega si è agganciato al treno della maggioranza sostenendo Mattarella, la presidente di Fdi è invece rimasta da sola all'opposizione. Nei giorni precedenti però è accaduto molto sul fronte moderato e centrista di Forza Italia, Giovanni Toti e Maurizio Lupi: dopo il fallimento del tentativo unilaterale del centrodestra sulla candidatura di Elisabetta Casellati, e dopo il caso-Belloni (la diplomatica ora a capo dei Servizi segreti era stata annunciata come prima presidente donna dallo stesso Salvini e dal capo M5s Giuseppe Conte venerdì notte, con il placet di Meloni), l'intero "centro" del centrodestra ha chiesto di rappresentarsi autonomamente in tutti i vertici di maggioranza con le forze di centrosinistra, ritirando la delega a Salvini. Quest'area, dunque, avvia un'organizzazione autonoma. Sempre da quest'area sono arrivati nelle prime votazioni preferenze spontanee per Sergio Mattarella, che si sono aggiunte a quelle provenienti da M5s e Pd. Ora sia Meloni sia Salvini sia Berlusconi e i "centristi" reclamano il diritto di essere l'architrave nella ricostruzione del centrodestra. E ciascuno annuncia iniziative per riassettare il fronte. Il capo della Lega, in particolare, ha fissato per martedì un Consiglio federale della Lega.
Lega: scontro aperto tra Salvini e l'asse Giorgetti-governatori
La partita del Quirinale ha portato definitivamente alla luce le due linee politiche nella Lega. Mentre Salvini cercava con Meloni un'iniziativa autosufficiente del centrodestra, il ministro Giancarlo Giorgetti e i governatori avvertivano invece sulla necessità di tenere in piedi la candidatura al Quirinale di Mario Draghi. E quando si è convenuto di tornare tutti su Mattarella, Giorgetti non ha nascosto il disappunto per il "veto" che il suo capo ha messo sul passaggio di Draghi da Palazzo Chigi al Colle, motivato dalla necessità di non toccare l'attuale assetto dell'esecutivo. Ma in generale, è da mesi che Giorgetti spinge perché la Lega prenda una strada diversa, imbocchi il viale del Ppe e si lasci definitivamente alle spalle la stagione sovranista. In questo è sostenuto dai governatori del Nord, Zaia e Fedriga in particolare, che hanno vissuto con enorme difficoltà e imbarazzo gli ammiccamenti di Salvini, in alcune fasi della lotta alla pandemia, al fronte no-vax e no-Pass. Il Consiglio federale di martedì della Lega sarà l'inizio di una profonda verifica.
M5s: Di Maio "sfiducia" Conte, e viceversa
Sabato sera, dopo la rielezione di Mattarella, Luigi Di Maio si è motrato alle telecamere dopo giorni di basso profilo con un gruppo di parlamentari alle sue spalle, a dimostrazione del fatto che un gruppo sostanzioso non è convinto della linea politica di Giuseppe Conte. Di Maio ha vissuto con disagio le presunte doppie trattative di Conte sia con Letta sia con Salvini. Ma soprattutto ha considerato un affronto la candidatura mediatica (e la conseguente "bruciatura") di Elisabetta Belloni, diplomatica che Di Maio ha molto apprezzato alla Farnesina e che voleva "proteggere" dai giochi politici. Paradossalmente, è ora Di Maio l'alfiere dell'alleanza strutturale con il Pd, mentre Conte si tiene le mani più libere. Ma soprattutto, Di Maio teme che il suo leader abbia lavorato, nella partita quirinalizia, contro Draghi e accarezzando l'idea delle elezioni anticipate. "Ci vuole un chiarimento", ha detto Di Maio. "L'ho chiesto prima io", ha replicato Conte incassando, negli ultimi passaggi, il sostegno di Beppe Grillo e di Alessandro Di Battista. Scissione in vista? Di Maio vuole provare a riprendersi M5s? O riusciranno a siglare una tregua in vista del voto? Certamente la fiducia tra i due è ai minimi termini.
Pd, Letta ritrova (per ora) il feeling con Renzi e osserva le mosse 5s
Mentre in alcuni momenti Conte e Salvini sembravano essere tornati a vecchie e salde intese, è andato a realizzarsi un inedito asse Letta-Renzi su diversi aspetti: il no a Frattini per le posizioni aperturiste verso la Russia di Putin, lo stop a Belloni e al passaggio dai vertici dell'intelligence al Quirinale, la difesa della posizione di Draghi sia come potenziale presidente della Repubblica sia per stoppare ipotesi che potevano invece allontanarlo anche da Palazzo Chigi. Questa dinamica ha rafforzato l'area del Pd da sempre favorevole ad un riavvicinamento a centristi e riformisti (a Renzi, ma anche a Calenda), indebolendo chi invece ha scommesso tutto sul rapporto stabile con M5s. Enrico Letta prova a giocare di equilibrio, senza perdere il rapporto con Conte - sebbene alcune mosse non gli siano piaciute - e ricucendo verso centro, senza dunque abbandonare quell'idea del "campo largo" in vista delle elezioni. Ma non è detto che tutti i pezzi del campo resistano al vortice politico del dopo Quirinale.
La legge elettorale, punto di caduta delle tensioni. E l'ipotesi proporzionale
Il punto di caduta di queste tensioni sarà la legge elettorale. Se prevarrà la necessità tattica di restare uniti, nonostante le enormi crepe dentro partiti e coalizioni, allora il Rosatellum ha possibilità di restare in vigore. Diversamente prenderà piede l'ipotesi del proporzionale, che non dispiace a Conte, a Fi, a Renzi e ai "centristi". Se anche Enrico Letta propendesse verso questa ipotesi, cui buona parte del Pd è favorevole per alleggerire il legame con M5s e tenersi aperti a varie alleanze per formare un governo nel 2023, allora si potrebbe chiudere con un accordo a maggioranza anche contro Salvini. Il capo della Lega, infatti, affida ad un sistema maggioritario la possibilità di tenere incollati i pezzi della coalizione. Ma alla fine anche lui, di fronte ad una disgregazione del suo campo, potrebbe valutare l'ipotesi. La sensazione è che il dossier si aprirà in estate, dopo le amministrative, per non incidere negativamente sui prossimi decisivi mesi di lavoro del governo Draghi.