
Matteo Pastore insieme al figlio Francesco - undefined
Era il giorno della veglia funebre, in un momento di poca affluenza, quando ad un tratto una colomba si fece spazio tra il silenzio della sala e il dolore composto dei familiari, posizionandosi proprio sotto la bara. «Restava lì, non voleva saperne di spostarsi. Era Francesco, ne sono sicuro: la sua data di nascita e di morte sono entrambe legate alla Pasqua». È passato un anno dalla tragica morte di Francesco Pastore, maresciallo dei carabinieri di Manfredonia (Foggia), in forza alla stazione dell’Arma di Campagna (Salerno). Nella notte tra il 6 e il 7 aprile 2024, era in servizio assieme al collega Francesco Ferraro, quando la loro pattuglia è stata travolta, lungo la strada che collega Campagna ad Eboli, da un Suv guidato da una 31enne positiva all’alcol e alla cocaina. Un terzo automobilista è morto qualche giorno dopo. Il padre di Francesco, anche lui carabiniere, l’appuntato scelto Matteo Pastore, rivive alcuni dei ricordi e momenti più intensi della perdita del figlio. Con il desiderio, precisa, di condividere un messaggio di fede e speranza per tutti.
Suo figlio Francesco aveva appena 25 anni. Cosa si sente di dire ai giovani di oggi?
Il suo tempo è diventato il mio – ci racconta, sfilandosi l’orologio che fino a un anno prima era al polso del figlio –. Adesso lui di tempo non ne ha più, e quello che è rimasto a me lo trascorro pensando al suo sorriso. Ai ragazzi di oggi dico sognate e abbiate fede, la vita è ben altro che i soldi facili fatti con la droga. I sacrifici premiano e portano lontano.
In che modo la fede sta accompagnando il suo dolore?
Credo nel destino e anche nella vita eterna. La preghiera mi aiuta a credere che per Francesco si siano aperte le porte del Paradiso. Per me che presto servizio a San Giovanni Rotondo, la fermata al santuario di San Pio con l’auto di servizio insieme ai colleghi è una vera e propria esigenza. Tutti i giorni, immancabilmente, sia all’inizio che a fine turno.
La passione per il suo lavoro e la fede per i valori dell’Arma, dopo la tragedia sono rimasti invariati?
Per me non è stato facile tornare a salire sulla macchina di servizio. Ma oltre alla fede che mi accompagna, ci sono anche e soprattutto persone a cui devo tanto e che mi stanno aiutando nel cammino di “ritorno alla vita”. Soprattutto tra i colleghi e i miei superiori. Con la loro umanità e vicinanza resteranno un riferimento morale prezioso anche quando la vita professionale ci separerà. Ed è anche grazie al loro esempio, ma soprattutto alla promessa che ho fatto a mio figlio, che andrò sempre avanti cercando di dare il mio contributo a servizio della comunità.
Lunedì a Manfredonia verrà inaugurato un monumento intitolato a suo figlio e al collega Francesco Ferraro. Cosa rappresenta per lei questo gesto simbolico?
Posso e devo innanzitutto ringraziare l’Arma, l’Associazione nazionale carabinieri, l’amministrazione comunale e la cittadinanza per questa intitolazione che mi rende un padre ancor più fiero e orgoglioso. E trovo che sia giusto e bello che il monumento sia intitolato anche al collega Francesco Ferraro, originario di Montesano Salentino (Le), al quale va un pensiero commosso: quella sera infatti, anziché smontare e tornare a casa era rimasto a fare compagnia ai colleghi, che terminavano a mezzanotte.
Qual è il ricordo che altri hanno di lui e che l’ha più colpita?
Un suo superiore, un giorno, mi raccontò di avergli chiesto il perché della sua costante ilarità. Francesco rispose che rideva perché aveva solo motivi per essere felice e grato. Ho 24 anni, disse convinto, sono un maresciallo dei carabinieri e ho tante persone che mi amano: la vita mi ha dato tutto.
Quali sono gli ultimi ricordi che ha di voi due insieme?
Quattro giorni prima dell’incidente, Francesco fece alcune cose che non era solito fare. Mi chiese di dormire insieme nel suo letto. Ridevamo del fatto che lo spazio non bastava per entrambi, e si abbracciò a me come faceva quando era bimbo. L’indomani partì per tornare al lavoro a Campagna. Dalla finestra, io e mia moglie lo guardammo salire in macchina e lui ci regalò un sorriso diverso, oggi potrei dire il più intenso e consapevole dei suoi 25 anni. Era diventato un uomo.