
Gli ultras dell'Inter in trasferta allo stadio Manuzzi di Cesena - ANSA
«Autostrada A1, fine anni novanta. Poster gigante di Padre Pio sul parabrezza, solo un pullman supera – senza mai essere fermato – i numerosi posti di blocco presenti lungo il tragitto da Roma a Bologna. Qualche poliziotto particolarmente devoto, al suo passaggio si fa addirittura il segno della croce. Nei pressi dello stadio Dall’Ara il rosso di una paletta intima all’autista di accostare...». Non è la scena di un film, ma l’incipit del libro appassionante e appassionato di Lamberto Ciabatti, Ultras (Sem, pagine 252, euro 18,00). Materiale incandescente da trattare, e ricordare, ma non per chi è stato in prima linea sul fronte della “guerra degli ultrà”. Scenari di battaglia del secolo scorso che sono diventate leggende metropolitane e fole di provincia per le gesta, attenzione non sempre violente, «ma anche goliardiche e solidali », puntualizza l’autore, che in questo libro-documento fa parlare molti “reduci” di quelle guerre da ultimo stadio. Sono i sopravvissuti, alla guerra parallela del terrorismo dei ‘70, e agli anni ‘80 bucati dalle siringhe dell’eroina. Di questo parla il reportage, in replay, che narra di scontri, assalti e agguati all’opposta fazione o alle forze dell’ordine. Scenari urbani che, alla domenica (unico giornata di campionato prima dell’era paytv), si trasformavano in niente di buono sul fronte occidentale.
Un viaggio da Nord a Sud a confronto con i capi storici degli ultrà
Un viaggio nella memoria di cuoio, vista Curva, da Nord, sulla tratta Torino-Milano, a Sud, seguendo la linea maginot Bari-Palermo. Ma tutto parte da quella trasferta con gli Irriducibili della Lazio che andavano a sfidare i Mods, i nemici bolognesi facendosi scudo del poster di Padre Pio e vennero stoppati ad un passo dal Dall’Ara dall’alt intimatogli dall’ispettore capo Marinelli che ordinò ai suoi poliziotti di scortare l’orda balorda fin dentro lo stadio per tentare di evitare gli inevitabili incidenti di ogni maledetta domenica. Dopo la nascita dei gruppi ultrà, alla metà degli anni ’70, il decennio suc-cessivo 1980-’90 è stato quello della resa dei conti. La strategia della tensione dalle piazze spesso si è spostata sugli spalti con effetti collaterali infernali. Città assediate, messe a ferro e fuoco. E per questo motivo, come raccontano a Ciabatti gli ultras Mario Stella e Ivo Sansoni la piccola Ascoli Piceno decise di organizzarsi con il suo nucleo difensivo di chiara ispirazione olimpica, Monaco ’72, ammantandosi dietro allo striscione, se non terroristico poco rassicurante, di “Settembre Bianconero”. Un messaggio chiaro e forte da parte di una comunità e di una società calcistica tranquilla e pacifica che, come il suo Presidentissimo, il vulcanico Costantino Rozzi, non accettava più di subire i soprusi delle grandi società. Gli anni più belli, quelli della Serie A dell’Ascoli si interrompono con la tragedia allo stadio: il 9 ottobre 1988, il 32enne tifoso ascolano Nazzareno Filippini, per gli amici “Reno”, massacrato dagli ultrà interisti. Una tragedia che aveva avuto un presagio, come raccontò anni dopo la mamma di Filippini: «Elisabetta, allora la fidanzata di “Reno” sognò che le fedi si spezzavano. Svegliò mio figlio agitata per raccontargli la visione e lui ne rimase scosso. Dopo la morte di Nazzareno ha distrutto il suo abito da sposa. Lo ha tagliato a brandelli».
Tragedie come quelle di "Gabbo" e reducismo che sopravvive nella tradizione di Curva
Altre vite sono finite a brandelli per colpa della follia ultrà. Ciabatti ricorda il primo martire da stadio in epoca “preultrà”: 28 aprile 1963 allo stadio Vestuti il 48enne tifoso salernitano Giuseppe Plaitano rimase ucciso da un colpo di pistola sparato dalle forze dell’ordine. Nessun colpevole per quella morte che fu accidentale, quanto quella del tifoso laziale Vincenzo Paparelli: ucciso prima del derby della capitale del 28 ottobre 1979 da un razzo sparato dalla Curva Sud dall’ultrà romanista, il 18enne Giovanni Fiorillo. Su quella stessa autostrada, l’A1, anni dopo la trasferta dei finti fedeli di Padre Pio, all’autogrill di Badia al Pino l’11 novembre 2007 perse la vita Gabriele Sandri, detto “Gabbo”: fatale un colpo di pistola sparato da un agente di Polizia che si trovava dall'altro lato della carreggiata. L’immagine di “Gabbo” è diventata un simbolo di “resistenza ultrà” su scala nazionale e nella Curva Nord dell’Olimpico il volto del giovane dj che perse la vita durante una trasferta della Lazio a Milano è una bandiera, omaggiata quanto quella di “Diabolik” che rimanda alla memoria del leader degli Irriducibili Fabrizio Piscitelli, assassinato dalla mala romana il 7 agosto 2019. «La storia di “Diabolik” che per il senso comune rappresenta il male estremo della violenza ultrà, per la Curva invece è un simbolo di appartenenza, e viene ricordato con rispetto anche dai capi delle altre tifoserie», spiega Ciabatti. Il gemellaggio con l’Inter rende “Diabolik” più affine allo storico capo ultrà nerazzurro Nino Ciccarelli e forse un po’ meno a quello del Milan, Giancarlo Capelli, per tutti il “Barone”. «Oggi il Barone è un 76enne energico che con il suo giubbotto rovesciato arancione guida ancora gli ultrà milanisti di ultima generazione che sfilano per l’Italia e l’Europa dentro i loro giubbotti neri – dice Ciabatti – . Il “Barone” mi ha raccontato che quando era un ragazzo e ai genitori comunicò che aveva scelto di passare le domeniche a San Siro invece che darsi alle lotte politiche con i gruppi eversivi, beh i suoi tirarono un bel sospiro di sollievo. Con la nascita dei gruppi del tifo organizzato avviene anche un processo di politicizzazione delle Curve che a partire dagli anni ’80 vide uno scontro accesissimo tra gli ultrà fascisti e quelli comunisti ».
Leggende metropolitane e quelle di provincia come il "Siberiano di Salerno
Esattamente cinquant’anni fa, nel 1975 a Salerno dagli avventori di cinque bar cittadini nacque il movimento ultras e nell’anno Mundial 1982 tutti i gruppi preesistenti si unirono in un solo centro di gravità permanente del tifo del Vestuti, denominato GSF - Granata South Force -..Una fusione che ha fatto la storia del tifo organizzato, così come l’attaccamento dei salernitani alla propria squadra sintetizzato nel libro Ultras-Stile di vita. Epica di Curva, dal Vestuti all’Arechi, incarnata dalla voce lancia-cori di Carmine Rinaldi, alias il “Siberiano”. «L’uomo che ha insegnato a intere generazioni di ultrà granata che la sveglia alle 7 alla domenica per andare attaccare gli striscioni non è un sacrificio. E lo striscione secondo la mentalità ultrà va difeso fino alla morte dai “nemici” che vogliono rubarlo». La morte di Siberiano, come quella di tanti capi ultrà, è stata celebrata con il funerale allo stadio, dove erano presenti tutti quei tifosi che oltre a incitare la propria squadra del cuore non hanno mai smesso di risparmiare qualche euro per costruire una scuola in Tanzania che laggiù hanno intitolato “Asilo Salerno”. «Esiste, e questo mio libro lo vuole rimarcare una “cultura ultrà” che è fatta di rispetto, di solidarietà, di gesti generosi e di episodi inimmaginabili. Claudio Galimberti, meglio noto come il “Bocia”, il capo ultrà dell’Atalanta, il più "daspizzato" d’Italia ora in “esilio”, ricorda che il papà di Yara Gambirasio tornò a parlare e fece la sua prima uscita pubblica dopo la tragedia della figlia alla “Festa della Dea” che ogni anno a Bergamo organizzano i tifosi atalantini. E questo conferma come il mondo degli Ultras sia vicino al sentimento popolare della gente comune, anche a quella che non frequenta la Curva e magari non va neppure allo stadio».