
Foto tratta dal volume “Black Basket Castel Volturno” - (Contrasto) / Simone Carolei
«Kobe Bryant diceva che nella vita molte persone lo avevano abbandonato, che si era spesso sentito solo, ma la palla è sempre rimasta la sua amica». Quella palla a spicchi da sempre rimbalza da un playground del ghetto di Los Angeles fino alla periferia sgarrupata del casertano, a Castel Volturno. Un passaggio lungo e forte che King raccoglie e di corsa va a canestro. Lo fa da quando ha 14 anni, ora ne ha 21: gioca con i suoi compagni più grandi e poi allena i piccoli della Tam Tam Basketball. È la squadra più inclusiva apparsa sul nostro pianeta basket. Un team solidale e molto black messo in piedi nel 2016 dal coach Massimo Antonelli, guardia leggendaria della Virtus Bologna degli anni ‘70. La Tam Tam è un’associazione sportiva dilettantistica nata per mettere insieme i figli degli stranieri, come King, « per lo più della comunità africana» il cui scopo principale è creare inclusione sociale attraverso lo sport. King, come racconta Simone Carolei nel suo splendido libro fotografico Black Basket Castel Volturno (Contrasto), è figlio di ambulanti nigeriani e uno dei pochi ragazzi della Tam Tam con la cittadinanza italiana. Grazie anche al basket King è pienamente integrato: studia Belle Arti a Napoli (corso di design e comunicazione) e ringrazia suo fratello, Victor che lo ha portato alla palestra del coach Antonelli. Victor ora fa il rapper e scrive musica e come King è grato ai loro genitori perché «mi hanno insegnato l’importanza di Dio».
Il basket è una fede e un mezzo per ottenere il diritto di cittadinanza
Basket e fede, binomio vincente e quasi miracoloso a queste latitudini dove il quotidiano non è mai facile e il presente non basta quasi mai a nessuno. Un piccolo miracolo è sicuramente questa squadra che rivive negli scatti umani di Carolei, così come nelle immagini del docufilm del regista egiziano da anni ormai in Italia, Mohamed Kenawi, autore del docufilm Tam Tam Basket – The Dream Team prodotto dalla sua casa DominoFilm « Non sono uno sportivo ma lavorando al progetto Tam Tam Basket ho capito l’importanza dell’emergenza sociale. La necessità del diritto di cittadinanza che i ragazzi del film cercano di ottenere proprio attraverso lo sport», spiega Kenawi. « Il basket è una benedizione per me. Io mi sento come se fossi nato solo per giocarci», dice King davanti alla telecamera di Kenawi che a distanza di tempo da quelle riprese (il docufilm uscì nel 2019) riflette sulla portata della storia dei ragazzi di Castel Volturno. «Girando il documentario ho scoperto che in Italia c’è una grande ingiustizia sul diritto di cittadinanza. Fuori onda, durante una pausa uno dei ragazzi della squadra mi disse: “Posso anche capire che certi italiani ce l’abbiano con i nostri genitori che hanno lasciato l’Africa per venire qua e magari alcuni erano irregolari, senza carta d’identità, e hanno preso un po’ del loro lavoro. Ma noi figli di stranieri nati e cresciuti qui , che colpe abbiamo? Perché dobbiamo essere puniti con il non essere riconosciuti? Noi per lo Stato non esistiamo, siamo invisibili ». Pure queste domande rimbalzano come quella palla a spicchi in mezzo al campo della Tam Tam. Sono degli appelli forti che arrivano dal film di Kenawi, così come nei primi piani e gli scenari delle foto di Black Basket di Carolei. «Tam Tam Basket ha girato le sale di mezzo mondo e le proiezioni sicuramente un po’ hanno aiutato a creare una nuova sensibilizzazione. Forse, per certi aspetti, ha anche un po’ anticipato il bel film Io capitano di Matteoi Garrone -spiega Kenawi - . Il vero successo oggi per me è sapere che qualcuno di quei ragazzi protagonisti del mio docufilm è diventato italiano e quelli che all’epoca erano dei minorenni hanno compiuto 18 anni e possono avanzare la richiesta di cittadinanza ».
Kenawi, il regista dello sport solidale ed inclusivo
Kenawi non ha dimenticato nessuno dei volti e delle storie di Castel Volturno e lo sport ancora una volta lo ha condotto davanti a un’altra realtà per realizzare il suo ultimo docufilm Volare più in alto. Storia della Briantea84, una società sportiva multidisciplinare fondata nel 1984 a Cantù, da quel gran visionario che è stato Alfredo Marson. Una società sportiva che accoglie persone con disabilità, sia motoria che intellettivorelazionale, affinché sviluppino i propri talenti. Obiettivo: aprire loro un nuovo percorso di sport e di vita. « All’inizio avevo timore di affrontare un tema così delicato come la disabilità.. Tutti i lavori che avevo visto indulgevano sul pietismo – racconta il regista egiziano -. Poi ho assistito a una partita di basket in carrozzina e i primi cinque minuti ero pietrificato, avevo paura che si facessero male. Non riuscivo a guardare le loro azioni e quello scontro continuo delle carrozzine per fermare l’avversario. Quell’impatto forte mi ha dato la scossa per cominciare a lavorare sulle storie dei ragazzi della Briantea». Il racconto di Kenawi si snoda attraverso le storie di Giulia, Fabrizio, Francesco, Jacopo e Karim, cinque atleti con disabilità diverse, provenienti da varie parti d’Italia e anche dall’estero.
Briantea84, "Volare più in alto": lo sport oltre la disabilità
«Volare più in alto non è solo un titolo o uno slogan, ma uno stile di vita e ciò che ha guidato tutti noi», ripetono in coro i ragazzi che hanno dovuto superare barriere architettoniche, muri fisici e psicologici assai alti per diventare loro stessi educatori di altri soggetti fragili. Come il caso di “Fritz” che adesso allena i portieri della squadra di Calcio a 5 della Briantea84. « In Egitto, grazie ad Al Jazeera, i miei due film sono passati e sono stati apprezzati - conclude Kenawi - . Tam Tam Basket ha suscitato dibattito sul razzismo che non è certo una questione solo italiana perché purtroppo si tratta di una piaga universale causata dall’ignoranza. Io stesso, arrivato a Roma, dove vivo da più di vent’anni, ho pagato di persona con qualche sguardo diciamo di intolleranza… Volare più in alto ha aperto sicuramente una finestra nel mondo arabo dove lo sport paralimpico non è ancora sviluppato come in Europa. Le persone con disabilità spesso in certe realtà mediorientali non solo non hanno la possibilità di fare sport, ma vengono relegate al margine della società e diventano i veri esclusi. Ma guardando alla vicenda di Karim, ragazzo di origine egiziana che ce l’ha fatta e oggi è una colonna della squadra di basket in carrozzina della Briantea84, io credo che certi esempi arriveranno anche nel mio Paese e ho la speranza che filmando e raccontando certe storie, le cose in futuro potranno cambiare e migliorare la vita di tante persone che oggi si sentono sole e abbandonate».