mercoledì 2 aprile 2025
L'ultimo film dei Manetti Bros è un piccolo trattato antropologico sulla passione per il pallone, che diventa il pretesto per raccontare una della tante comunità "dimenticate" della Calabria
Gli attori Blaise Alfonso e Rocco Papaleo in una scena del film dei Manetti Bros “U.S. Palmese” in questi giorni nelle sale

Gli attori Blaise Alfonso e Rocco Papaleo in una scena del film dei Manetti Bros “U.S. Palmese” in questi giorni nelle sale - © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il calcio di poesia, prediletto dal poeta-calciatore Pier Paolo Pasolini, a volte sa scrivere dei piccoli capolavori narrativi per il grande schermo. Ma per farlo ci vuole, degregorianamente, coraggio, altruismo e fantasia. Tutti elementi che, assieme all’amore per il paese materno, Palmi, provincia di Reggio Calabria, lì dove era nata ed è morta mamma Dora, i suoi figli, i cineasti romani, Marco e Antonio Manetti, in arte i Manetti Bros, hanno messo nel loro ultimo film U.S. Palmese. Un piccolo trattato di antropologia cinematografica, raccontare un borgo marino di quella Calabria al margine e dimenticata da tutto e tutti, tranne che dal mare, attraverso quello che l’eccentrica poetessa Ferraro (Claudia Gerini) definisce marxianamente «l’oppio dei popoli di oggi», il calcio. Per fare un film sul calcio, spettacolo di per sé impareggiabile e quindi quasi impossibile da riproporre senza cadere nel peggiore dei fuori gioco, l’anacronismo banalizzante, ci vuole una certa dose di follia. La stessa che anima Don Vincenzo, Rocco Papaleo, pensionato, vedovo con una figlia “scandalosa” per la mentalità paesana (ama una ragazza e il padre lo scoprirà solo vivendo la sua folle impresa) che per far parlare del suo paese e quindi della sua squadra del cuore, i dilettanti dell’U.S. Palmese, chiede alla sua gente un atto di generosità: partecipare con un minimo di 300 euro a una sottoscrizione popolare per acquistare il campione francese Etienne Morville, impersonato dall’atletico Blaise Alfons.

Il sogno e l'utopia del campione che scende nella jungla dei dilettanti
Il crowdfunding come dicono quelli che di raccolta fondi si intendono, prevede in questo caso il raggiungimento della cifra monster, per quelle latitudini calabre e depresse, di 5 milioni di euro. Cifra che il buon senso vorrebbe che venisse impiegata per progetti più utili e meno dilettevoli, tipo l’essenziale rivitalizzazione dell’ospedale di Palmi, cittadina di 18mila abitanti che ha dato i natali a un luminare della medicina come il Prof. Francesco Pentimalli (fondatore del Regina Elena di Roma, nonché, tanto per restare in tema di cinema, nonno dell’attrice Monica Guerritore), ma che oggi non può garantire assistenza sanitaria ai suoi cittadini. Un palmisano se sta male deve farsi il segno della croce e chiedere di essere ricoverato d’urgenza all’ospedale di Reggio Calabria, e il capo-luogo dista 46 km. Il calcio con i suoi effetti palliativi, passione folle e contagiosa, può in parte curare le ferite dell’anima, come insegna Don Vincenzo che, complice la messa fuori rosa, da parte di un top club milanese, del suo idolo Etienne Morville (rovinato dalla movida dei Navigli e dai social dove si becca l’accusa di body shaming), riesce davvero a racimolare quei 5 milioni di euro che convincono in un lampo il suo spregiudicato procuratore a spedirglielo come pacco dono, laggiù nella jungla del dilettantismo. Un affare che sarebbe a dir poco impossibile nel mondo reale del pallone, anche se il surrealismo magico dei Manetti Bros spinge lo spettatore calciofilo a immaginare un Mario Balotelli che fuori rosa nel Genoa, accetti – ovviamente dietro lauto compenso – di sbarcare anche lui all’U.S. Palmese, per diventare un idolo, “U’ Giganti”. La statua del gigante nero che, ogni 16 agosto, danza con la donna bianca durante la processione di San Rocco. E “U’ Giganti” in campo come per miracolo appare e mostra le magie all’Houdinì (incrocio di volteggi e rabone) di Morville che a muso duro accetta la sfida, quella del calciatore ricco e viziato che scende di categoria per rifarsi un’immagine, mentre i rudi terzini che incontra provano a rifargli i connotati, partendo dal basso, caviglie e ginocchia trattate da macellai.

Il riscatto umano del fuoriclasse viziato del grande calcio
Povero Etienne, un uomo solo contro tutti, sradicato dalla banlieue che gli ha insegnato a difendersi e a dribblare le avversità per arrivare grazie alla fame e alla fama di successo, a compiere la scalata sociale. Top player con licenza di offendere il proprio talento e quella di uccidere la noia con il superfluo, l’effimero: ristoranti stellati, bolidi, festini e champagne. Destino che accomuna da sempre tanti n. “10” fantasiosi, belli e dannati del football. Etienne ha rinunciato a tutto e rinnegato tutti, persino l’amore della sua ragazza, Sandrine, la fidanzata parigina. Come Ulisse fu incantato dalle sirene nel mare che bagnava la terra dei Feaci, che Omero chiama Scheria (Palmi e la Costa Viola), Morville, come tanti campioni, è stato attratto, sedotto e poi abbandonato, dal dio denaro. Un passaggio troppo in profondità che lo ha condotto nel tunnel in cui ha smarrito la luce, la passione di una vita, il calcio. «Tu non ami il calcio» gli rinfaccia schietto il mister dell’U.S. Palmese, il vulcanico e sanguigno Mimì Bagalà, quel Max Mazzotta che sembra tornato il Fiabeschi di Paz! (film del 2002 di Renato De Maria) che in tuta e fischietto invita i suoi ragazzi a danzare in campo. Balla pochi mesi tra i dilettanti il fuoriclasse Morville, ma quelli saranno i giorni fatali e decisivi dell’abbandono dal mondo fatuo e dorato del professionismo che troppo spesso distrugge la parte sana e umana del calciatore. Ne abbiamo visti tanti di giocatori tristi che oltre a non avere vinto mai hanno perso persino la coscienza di se’. Al bar sport di Palmi, nella realtà, forse non potranno mai raccontare di avere avuto l’onore di vedere tesserato dalla loro società, l’U.S. Palmese 1912, un campione del calibro di Morville.

Palmi, tra miserie e splendori come l'eredità lasciata da Leonida Repaci
Al massimo la sua torcida neroverde che alla domenica da sempre si ritrova allo stadio potrà ricordare i fasti raggiunti, partendo da qui, di una vecchia gloria come Pino Cogliandro che, dopo tanti derby vinti e persi con gli acerrimi nemici della Gioiese, è riuscito a salire fino ai campi della serie B, ma con il Sorrento, stagione 1971-‘72. Su queste sponde portati dalle onde dell’Oceano fino al Mediterraneo continuano ad attraccare stranieri, oltre 5mila brasiliani e argentini fino allo scorso anno, a caccia del doppio passaporto. Qualche sudamericano lo fa anche per trovare squadra, alla vera Palmese si è accasato l’ex nazionale del Paraguay Lucien Galtier. San Siro dista mille chilometri dallo stadio Giuseppe Lo Presti, ma qui, fedeli alla memoria del militare partigiano figlio di palmisani ucciso nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, si gioca per il popolo, che a sua volta resiste alla tentazione di mollare tutto e scappare via per andare a cercare fortuna altrove. «Qualche giovane rimane pure a Palmi, ma qua non c’è molto da fare» dice sconfortato un palmense di rientro da Milano, ex docente universitario, con un passato da editore. A Milano da Palmi salì anche il genius loci, lo scrittore e drammaturgo Leonida Repaci (1899-1985) di cui quest’anno il 16 luglio ricorrono i 40 anni dalla morte. Un tifoso di Palmi e della sua cultura, Repaci che interpretò se stesso ne La dolce vita di Federico Fellini, prima di morire assieme a sua moglie Albertina donò la ricca pinacoteca privata al comune e aveva espresso la volontà che la sua villa, Villa Pietrosa, diventasse un centro culturale per giovani artisti. Utopia, come vedere l’U.S. Palmese in Serie A. Ma almeno nel film viene trascinata al trionfo da quel fenomeno di Morville. Volato via di notte e di nascosto dai suoi nuovi fratelli calabresi, Etienne va a vincere la Champions League con la squadra della sua città, Parigi, che poi è quella di Jean-Paul Sartre. E il padre dell’esistenzialismo, come i Manetti Bros, non aveva mai avuto dubbi sul fatto che «il calcio è la metafora della vita».

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