mercoledì 29 agosto 2012
Il ministro della Salute Balduzzi ha annunciato che farà al governo una proposta di ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ieri ha bollato come "incoerente" la legge 40 sulla procreazione ente assistita. La sodisfazione del Movimento per la vita e del Forum delle famiglie. Il cardinale Bagnasco: surclassata la magistratura italiana.
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Il Forum delle associazioni familiari e Movimento per la vita hanno espresso la propria soddisfazione per l'intenzione del ministro della Salute, Balduzzi "di proporre al governo il ricorso contro la sentenza della Corte europea" perché in quella sentenza "si ravvisano passaggi che possono dare luogo a interpretazioni preoccupanti" anche se di per se la sentenza non obbliga lo Stato italiano a cambiare la legge ma solo a risarcire i ricorrenti. Nella conferenza congiunta tenuta nella mattinata di oggi, i presidenti di Forum e Mpv, Belletti e Casini, hanno aggiunto: "Siamo fiduciosi che a fronte del ricorso italiano, la Grand Chambre di Strasburgo ribalti la sentenza di primo grado come è già successo recentemente sugli stessi temi. Il 3 novembre 2011, infatti, la Grand Chambre emise la sentenza finale sul ricorso di due coppie austriache contro la legge di quello Stato ribaltando la decisione presa in primo grado dalla Corte definendo la legittimità del divieto di fecondazione eterologa in vitro, la non violazione della Convenzione dei diritti dell'uomo e l'autonomia legislativa dei singoli Stati.IL GOVERNO VERSO IL RICORSO"Mi riservo di fare una proposta al Consiglio dei ministri, competente su questo". Così il ministro della Salute, Renato Balduzzi ha risposto ai giornalisti a margine della visita al nuovo ospedale del capoluogo toscano."L'orientamento preliminare - ha ribadito Balduzzi - è quello di chiedere una pronuncia che abbia delle ulteriori posizioni di certezza e che serva a capire anche, per quanto ci riguarda, come la Corte europea vede il bilanciamento, proprio della legislazione italiana, tra la soggettività giuridica dell'embrione, la tutela della madre e gli altri interessi coinvolti". "Tra ieri e stamani - ha spiegato Balduzzi - sono riuscito a dare una lettura un po' frettolosa alla sentenza e ci stanno lavorando anche i miei uffici. Credo che sia forse opportuna una richiesta di un punto giurisdizionale fermo per quanto riguarda la Corte europea dei diritti dell'uomo e che dunque un ricorso da parte del nostro Paese valga proprio a consolidare un punto di riferimento. Ci sono poi dei profili di carattere processuale - ha aggiunto - che andrebbero attentamente monitorati perchè e" chiaro che si riferiscono non solo al caso di specie ma a tutti i casi possibili. Siccome stanno aumentando le ipotesi di confronto tra ordinamenti, quello italiano e quello del Consiglio d'Europa, credo che anche sotto questo profilo un nostro ricorso potrebbe servire a un chiarimento giurisprudenziale"."Con riserva di un approfondimento - ha concluso Balduzzi - una volta presa in esame questa pronuncia, mi sembra che ci siano gli elementi per promuovere un ulteriore chiarimento giurisprudenziale".BAGNASCO: SURCLASSATA LA MAGISTRATURA ITALIANAÈ singolare che sia stata superata la magistratura italiana: così il cardinale Bagnasco, a margine della sua visita al santuario genovese della Madonna della Guardia, ha risposto alle domande dei giornalisti sulla sentenza della Corte europea per i diritti umani che ieri ha dato un altro colpo di piccone alla legge 40 sulla procreazione assistita. "Bisogna ripensarci un attimo alivello nazionale: sia a livello di tecnici che di esperti, sia nel merito che nel metodo perché non si è passati attraverso la magistratura italiana. Bisogna ripensarci - ha aggiunto il presidente della Cei - c'è stato un superamento, un surclassamento della magistratura italiana, è singolare".SENTENZA EUGENETICALa legge 40 è «incoerente» e non è lecito vietare a una coppia non sterile di effettuare una fecondazione artificiale per evitare una malattia genetica. Cala come una mannaia sulla già discussa normativa la sentenza della Corte europea per i diritti umani (che fa capo al Consiglio d’Europa e niente ha a che fare con l’Ue): un verdetto che condanna l’Italia a un risarcimento complessivo di 17.500 euro dando ragione al ricorso di due coniugi romani, Rosetta Costa (35 anni) e Walter Pavan (37 anni). È la conclusione di un lungo dissidio giuridico, che potrebbe (o meglio, vorrebbe) avere implicazioni di vasta portata, magari aprendo la strada anche in Italia alla fecondazione artificiale (omologa) anche a coppie fertili e alla diagnosi genetica pre-impianto sugli embrioni. Un procedimento, quest’ultimo, che nel nostro Paese è vietato anche per il timore di abusi nella selezione dell’embrione in chiave eugenetica. Tra i 47 stati membri del Consiglio d’Europa, ha voluto ricordare la Corte, solo in altri due (Austria e Svizzera) esiste un simile divieto. Quella dei due romani, certo, non è una storia felice. Nel 2006 nasce loro una bambina affetta da fibrosi cistica (o mucoviscidosi), una grave malattia genetica quasi sempre mortale. È così che Costa e Pavan scoprono di essere entrambi portatori sani del gene difettoso all’origine di questo morbo. Nel 2010 la donna resta nuovamente incinta, ma l’embrione è anch’esso affetto dalla malattia e così i due decidono di abortire. I due vorrebbero, a quel punto, ricorrere alla fecondazione artificiale per poi effettuare una diagnosi genetica pre-impianto. Il 13 gennaio 2010, in via eccezionale, il Tribunale di Salerno aveva consentito a un’altra coppia non sterile, portatrice sana dell’atrofia muscolare, di effettuare una fecondazione artificiale e la diagnosi, in deroga al divieto previsto dalla legge 40. Costa e Pavan non spuntano analoga eccezione ed è così che nel settembre di quell’anno ricorrono ai giudici di Strasburgo. La loro argomentazione è che viene violato l’articolo 8 della Convenzione dei diritti umani (rispetto della vita privata e familiare), in quanto obbligati dalla legge a seguire la via del concepimento naturale e dell’eventuale aborto; e l’articolo 14 (divieto di discriminazione), in quanto alle coppie sterili (o affette da malattie sessualmente trasmissibili) è invece consentita la fecondazione artificiale.Su quest’ultimo punto la Corte ha dato torto ai due romani, visto che, almeno per la diagnosi pre-impianto, vietato per tutti significa che «le coppie sterili o affette da malattie sessualmente trasmissibili non sono trattate diversamente», si legge nel comunicato di Strasburgo. Accolta, invece, la prima, e la più importante delle due argomentazioni. La Camera giudicante di 7 membri, presieduta dalla belga Françoise Tulkens, spiega la nota, «ha ritenuto che il desiderio dei ricorrenti di rivolgersi alla procreazione assistita e alla diagnosi pre-impianto per avere un bambino non affetto da fibrosi cistica sia una forma di espressione della loro vita privata e familiare». Un diritto, secondo i giudici di Strasburgo, violato dal divieto imposto dalla legge. C’è di più: la Corte sottolinea che «le nozioni di “embrione” e “bambino” non devono essere confuse».Per i giudici di Strasburgo, inoltre, la legge italiana è «incoerente»: da un lato «vieta l’impianto di embrioni sani» (cioè giudicati sani attraverso la diagnosi pre-impianto, in Italia vietata appunto), dall’altro «autorizza l’aborto di feti (concepiti naturalmente, ndr) che mostrino sintomi della malattia» (il riferimento è alla legge 194 sull’aborto). Una posizione, spiega il comunicato, che «lascia ai ricorrenti una sola possibilità, che comporta ansia e sofferenza: avviare una gravidanza e porvi termine se i testi prenatali mostrano che il feto è malato».Soddisfazione hanno espresso i due avvocati della coppia, Nicolò e Ginevra Paoletti. «La sentenza che costituisce il riconoscimento del fondamentale diritto dell’individuo di autodeterminarsi nelle scelte inerenti la propria vita privata e di fondare una famiglia», hanno detto. Ora il pallino passa al governo, che potrà decidere – nei termini di tre mesi – se ricorrere alla Grande Chambre, con il rischio di un ribaltamento della sentenza odierna, come è avvenuto per la fecondazione eterologa lo scorso novembre. Quando la stessa corte, nella sua più alta e definitiva istanza, ha riaffermato la piena autonomia dei singoli Stati su questioni fondamentali relative alla vita privata e ai diritti umani. Giovanni Maria Del Re
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