Quel che impressiona di più, nella sentenza della Corte europea dei diritti umani, è «la superficialità». Nel trattare il tema della vita, certo, ma ancor prima nel valutare la legislazione italiana (e quindi l’attività del nostro Parlamento) come fosse un nugolo di divieti irrazionali, affastellati e messi insieme alla rinfusa, senza capo né coda. Un’immagine che, una volta veicolata all’interno dei nostri confini, non può che portare a una «pressione sulla visione giuridica, in particolare della Corte costituzionale». Che poi è l’intento di certe lobby, ormai «specializzate nell’attacco alla legge 40». Tuona l’eurodeputato Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, che proprio stamattina presenterà, insieme ai rappresentanti di Scienza & vita e del Forum delle famiglie, il terzo rapporto sull’attuazione della norma sulla procreazione assistita in Italia.
I giudici della corte europea ritengono «incoerente» che una legge italiana (la 40) vieti di accedere alla diagnosi pre-impianto se poi un’altra legge (la 194, appunto) autorizza ad effettuare un’interruzione di gravidanza terapeutica quando il feto è affetto da questa stessa patologia. Nella legge 194, però, non c’è niente di tutto questo, giusto?La finalità dell’aborto eugenetico è espressamente esclusa dalla legge 194 sia nei primi tre mesi di gravidanza (art. 4) sia nel periodo successivo (art. 9). La previsione o l’accertamento di anomalie gravi del nascituro sono presi in considerazione non in quanto tali, ma in quanto produttivi di uno stato di malattia della madre. È una linea sottile, ma è fondamentale sottolinearne il significato: vuol dire che la legge italiana nega l’uccisione del figlio “malato” come soluzione possibile. Si tratta di un principio indiscutibile. Che poi questo avvenga, visto che con la “scusa” della tutela della salute della donna sono ancora troppi gli aborti permessi nel nostro Paese dopo diagnosi prenatali infauste, è un altro paio di maniche.
Quindi diagnosi pre-impianto e diagnosi prenatale, che nella sentenza vengono equiparate, sono cose diverse?Lo sono eccome. La diagnosi prenatale non ha lo scopo né lo sbocco esclusivo nella distruzione del figlio gravato da anomalia o malformazione: a volte, per esempio, serve a predisporre una terapia efficace durante o dopo la gravidanza. Senza contare che sono molte le madri che decidono di proseguire la gravidanza nonostante un esito negativo. La diagnosi pre-impianto ha invece lo scopo esclusivo di distruggere l’embrione malato. Di più, anzi: siccome si tratta di una tecnica molto invasiva, vi è un rilevante rischio che essa stessa produca la morte dell’embrione, magari sano. Non a caso per effettuare l’esame ed essere certi di poter individuare i 2 o 3 embrioni sani da trasferire in utero è necessario avere a disposizione da 9 a 12 embrioni.
Tutto – direbbero i coniugi “premiati” dalla sentenza – per la certezza di un figlio sano.Peccato che nemmeno questa certezza esista, visto che su tale diagnostica grava un significativo coefficiente di errore.
Un problema che a quel punto verrebbe risolto con un’altra “eliminazione”, magari forzando la legge 194...Qui, a ben vedere, non stiamo forzando solo leggi. Se davvero vogliamo misurare la nostra civiltà sulla base della tutela dei diritti umani, forse dovremmo cominciare a ricordare che la dignità umana è sempre presente ed è sempre della stessa misura, quale che sia la modalità in cui la vita è cominciata. Essa ha diritto comunque ad essere tutelata, anche se è nata in una provetta. Una volta che esiste un embrione, l’unico modo per non affievolire il suo diritto è trasferirlo al più presto nell’utero della madre. Il suo diritto è invece calpestato se esso viene distrutto e considerato un semplice mezzo per realizzare uno scopo ad esso estraneo.
La sentenza di Strasburgo cosa cambia nella legislazione italiana?Assolutamente niente. I suoi principi si applicheranno al singolo caso della coppia. Poi, se vorrà, l’Italia potrà ricorrere contro la decisione della Corte in Grand Chambre. Peraltro la sentenza in questione cozza con quella presa dalla stessa Corte lo scorso 3 novembre e secondo cui – in ragione del carattere sensibile della materia “procreazione assistita” e delle divergenti normative vigenti negli Stati – ciascuno di essi ha un ampio margine decisionale.
Che grande confusione però...Sì, così grande da non poter essere che voluta per scatenare pressioni sulla Consulta italiana e sperare in un’archiviazione della legge 40. Si tenta ormai da troppo tempo, da parte delle solite lobby, di cambiare la visione giuridica delle nostre corti. Lo impediremo.