Manifestanti contro l’aborto alla Marcia per la Vita a Parigi domenica 19 gennaio
In Francia, a 50 anni dalla promulgazione della legge Veil che depenalizzò l’aborto, le cifre continuano a interrogare le coscienze: nel 2023 sono stati praticati 243.623 aborti, in circa l’80% dei casi con pillola abortiva. Inoltre, da anni, si assiste a una sorta d’imprevista accelerazione, rispetto ai 223.300 aborti censiti nel 2021 e ai 234.300 del 2022. Proprio lo stesso periodo in cui nel Paese il tasso di natalità ha invece conosciuto una sensibile contrazione, facendo temere un ingresso imminente anche della Francia, tradizionalmente “natalista”, nel girone europeo dell’inverno demografico. In mezzo secolo si è confermato e rafforzato un paradosso francese, ovvero l’approdo a uno scenario opposto rispetto a quello che nel 1975 prefiguravano i deputati fautori della depenalizzazione.
All’epoca, infatti, dominava la convinzione che l’aborto dovesse restare una soluzione estrema da adottare in casi particolari. Anche perché si riteneva che il propagarsi della contraccezione, anche attraverso continue campagne pubbliche d’informazione, avrebbe contribuito a una diminuzione progressiva degli aborti praticati. Oggi, invece, nella classe politica, l’aborto viene considerato prima di tutto come un diritto fondamentale della condizione femminile, promosso tanto vigorosamente da far parlare di una sua crescente «banalizzazione ». Non a caso, le cifre descrivono incontestabilmente un fenomeno di massa. Cos’è successo? Perché con 16,8 aborti ogni 1.000 donne in età fertile (il tasso di abortività, che in Italia è di 5,4) si osserva in Francia la crescita continua di una pratica che nella vita reale, per chi è coinvolto in prima persona, si dimostra generalmente ben poco “banale”? Un primo aspetto di fondo riguarda il livello di consenso attorno all’aborto.
Nel Paese, in effetti, il fatto stesso di dibattere sulla liceità dell’aborto è oggi considerato da gran parte dei francesi come un’opzione “passatista”. Secondo un sondaggio dell’istituto Bva dell’anno scorso, il 91% dei francesi è favorevole alla libertà di abortire. Ad approvarla pure il 63% dei cattolici praticanti regolari. Al contempo, come hanno osservato diversi sociologi, si nota nel Paese uno slittamento progressivo verso una nuova “norma procreativa”, soprattutto per le donne under 30 che non si sentono pronte a divenire un “buon genitore” in assenza di requisiti professionali ed economici consolidati, come si evince dal volume Sociologie de l’avortement, scritto dalle ricercatrici Marie Mathieu e Laurine Thizy. In tal modo, pare allargarsi il fossato fra l’approvazione generalizzata dell’aborto, promosso da continue campagne governative, e ciò che si sperimenta ogni giorno, ad esempio negli ospedali.
Il presidente Emmanuel Macron, primo sostenitore dell’iscrizione del diritto all’aborto nella Costituzione, ha appena ribadito in questi termini la propria posizione: «Cinquant’anni fa, Simone Veil segnò la storia difendendo con coraggio una legge per le donne, per la libertà, per la loro dignità. Oggi sancito dalla nostra Costituzione, il diritto di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza è irreversibile. Nulla potrà cancellare questo diritto». Ma nel Paese, al contempo, le statistiche dicono pure che, fuori dagli ospedali, solo il 3% dei medici generalisti e dei ginecologi accettano di occuparsi di aborti in ambulatorio. «Non è un’attività percepita come nobile», ha ammesso Delphine Giraud, copresidente dell’Associazione nazionale delle ostetriche ortogeniste, su La Croix. Così, da tempo, un interrogativo nuovo si fa strada, attorno all’Interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) ormai dominante: il contrasto fra la promozione ufficiale con il “pilota automatico” e la somma delle esperienze concrete dell’aborto vissuto a caro prezzo non è forse pure il sintomo di un Paese in cui si sta rinunciando a riflettere in modo approfondito e realista sul fenomeno?
Non a caso, è stata una donna, Caroline Roux, vice-delegata generale dell’associazione Alliance Vita, a evidenziare in questi termini la pericolosa tendenza: «La prevenzione è la priorità di tutte le politiche sanitarie. Ma l’Ivg costituisce un’eccezione. I poteri pubblici sembrano persino considerare vietata ogni valutazione sulle sue cause e sulle sue conseguenze, e non osano mostrare la volontà di proteggere le donne da questo iter, per quanto possibile. La recente costituzionalizzazione della libertà di ricorrere all’Ivg sembra chiudere il dibattito, come se ogni modo d’interrogarsi su questo tema divenisse indecente e persino illegale. Eppure, l’aborto pone sempre dei problemi. È un atto che non può essere banale, poiché sono in gioco delle vite». Fra rapidi cambiamenti negli stili di vita all’insegna di una crescente autonomizzazione femminile, da una parte, e una comunicazione governativa monodirezionale, dall’altra, un altro rischio, come sperimentano tanti psicologi, è pure quello concreto di un numero crescente di aborti vissuti senza la possibilità di trovare interlocutori con cui confrontarsi, all’insegna in generale di un accompagnamento inadeguato.
Anche per questo, non è troppo tardi per «svegliare le coscienze», ha ripetuto Nicolas Tardy-Joubert, alla guida della Marcia per la Vita che domenica, a Parigi, in presenza di tanti giovani, ha enfatizzato la necessità di conservare un pluralismo d’opinioni nello spazio pubblico, al di là del batti e ribatti di slogan uditi da anni. In proposito, significativamente, fra le rivendicazioni espresse dal movimento nei confronti dei poteri pubblici figura quella di «realizzare uno studio sull’Ivg per comprendere meglio le sue cause e conseguenze ». Come dire che conviene a tutti abbassare i toni di storiche contrapposizioni ideologiche per tornare a poggiare i piedi per terra. Fra le altre rivendicazioni, quella di «una politica familiare per combattere la precarietà e accompagnare tutti i genitori affiché l’Ivg non sia mai una scelta realizzata per ragioni economiche».
In proposito, molti studi confermano che l’aborto rischia non di rado di divenire una «fatalità » inevitabile per le donne incinte di condizione più modesta. Inoltre, i manifestanti hanno chiesto pure la difesa dell’obiezione di coscienza per il personale ospedaliero, talora additata al pubblico dissenso anche da personalità politiche vicine all’Eliseo. Nel frattempo, anche sui social, non mancano testimonianze spontanee su una simile prova nel vissuto quotidiano di una donna, di una coppia o di una famiglia. Considerata da molti politologi come uno degli ultimi contrassegni ideologici ampiamente riconosciuti di una certa visione del “progressismo”, la libertà di abortire è rimasta anche in Francia per decenni un tema urlato e particolarmente divisivo. Anche per questo acquistano oggi un risalto particolare i tentativi di uscire dalla mischia per mettersi in ascolto e cercare di comprendere i sintomi e i contorni reali del fenomeno.