lunedì 12 dicembre 2016
Per il Papa la "non violenza" è la sintesi di pratica «attiva e creativa», stile di vita e «programma politico» efficace per la pace. È il cuore del suo messaggio per la giornata per la pace 2017.
Papa Francesco: una forza creativa per costruire la pace
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«La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi "signori della guerra"?». Alla fine di un anno lacerato e frantumato dalla violenza, il quarto messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace, mette al centro una questione cruciale che non ha alternative: la "non violenza".

E nel documento papale diviene per la prima volta parola unica, sintesi di una pratica «attiva e creativa», stile di vita e di un «programma politico» efficace per la pace. Nonviolenza quindi come urgenza e nuova mentalità riguardo l’uomo, i suoi doveri e i suoi destini. Non violenza praticata «come strategia di costruzione della pace», nella quale si giocano i rapporti interpersonali, sociali e internazionali. Impegno possibile e via praticabile che non è patrimonio esclusivo della Chiesa cattolica ma è proprio di molte tradizioni religiose. Quello che ha prodotto già risultati e avuto già i suoi esempi storici con i successi ottenuti dal Mahatma Gandhi nella liberazione dell’India, da Martin Luther King contro la discriminazione razziale fino a Madre Teresa di Calcutta, a Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che - come è ripreso nel messaggio - hanno organizzato incontri di preghiera e protesta non violenta ottenendo negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in Liberia.

Una strategia pragmatica infine che certamente per i cristiani - ricorda papa Francesco - ha un modello evangelico esplicito, in Cristo stesso che «ci offre un "manuale"» di questa strategia della pace nelle Beatitudini e dal quale i cristiani non possono esimersi. E che costituisce il perno della tradizione diplomatica esercitata dalla Santa Sede. È questo in estrema sintesi il nocciolo del messaggio papale che, come ha rilevato il cardinale Peter Turkson, presidente di Giustizia e Pace, parlando ai giornalisti, «costituisce un passaggio necessario, atto a scuotere, anche perché il messaggio viene distribuito nelle cancellerie di tutto il mondo, e spesso funziona anche da linea guida per il primo discorso papale dell’anno, quello con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede».

Le ragioni razionali della non violenza del resto sono di per sé evidenti, non solo per il Papa: «In ogni caso, questa violenza che si esercita "a pezzi", in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli». Quindi - afferma Papa Francesco nel messaggio - rispondere alla violenza con la violenza non è la cura. Perché «rispondere alla violenza con la violenza conduce nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti».

La costruzione della pace mediante la non violenza attiva «è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali, mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali», ha rilevato il Papa invitando a «diventare persone che hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza». E ha assicurato «che la Chiesa cattolica accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace attraverso la nonviolenza». Questo è il tracciato che affonda le radici nella Gaudium et spes, nel quale la pace è frutto insieme della giustizia e dell’amore e dunque «edificio da costruire continuamente».

Da qui l’insistenza sull’educazione alla pace inculcata dal Concilio come «dovere gravissimo», «come estrema, urgente necessità» e condotta da Paolo VI con costanza intrepida, il quale, cinquant’anni fa, proprio indicendo la giornata mondiale per la pace, era stato chiarissimo nel fugare facili e false retoriche ed elencava i motivi per cui egli era chiamato a ripetere esortazioni, che sono ancora oggi di pressante attualità.E con queste papa Francesco ha aperto il suo messaggio: «È finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)».

Montini metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». Il cardinale Turkson ha fatto notare che all’incontro Nato di Varsavia dello scorso luglio il segretario della Nato aveva allora detto che il dialogo non è una strategia. «Per noi è l’esatto contrario – ha affermato – è la vera strategia ed è possibile». In questo senso anche per l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato di Giustizia e Pace, che ha collocato il messaggio del Papa nel contesto internazionale, si tratta piuttosto di creare uno scarto con la teoria della «"guerra giusta". Oggi puntando sulla nonviolenza focalizziamo l’impegno internazionale nel prevenire possibili scoppi di violenza, provvedendo a lavorare per una società più rispettosa dei diritti umani, aperta al dialogo e alle culture diverse».

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