Il Papa durante la Messa dell'Epifania - Reuters
I magi «sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio, degli stranieri che ora sono condotti sul monte del Signore, dei lontani che adesso possono udire l’annuncio della salvezza, di tutti gli smarriti che sentono il richiamo di una voce amica». Sono altresì immagine «del pellegrinaggio di ognuno di noi, dalla lontananza alla vicinanza». Lo ha detto il Papa nell'omelia della Messa dell'Epifania, celebrata nella Basilica di San Pietro davanti a oltre seimila fedeli, raccomandando soprattutto di recuperare la preghiera di adorazione, che «abbiamo un po' perduto», ha sottolineato. Appello ripetuto anche all'Angelus, insieme con l'invito a soffermarsi con i bambini e a guardare i problemi del mondo con i loro occhi.
Questi sapienti venuti dall'Oriente, ha aggiunto Francesco nella sua omelia, «hanno gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione». E per ognuno di questi atteggiamenti il Pontefice ha spiegato il relativo insegnamento anche per la Chiesa e il mondo di oggi.
Gli occhi puntati verso il cielo, ad esempio, ci fanno comprendere che «essi alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto». Questa è anche «la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti, se siamo affamati di beni e consolazioni mondane invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne». Di questo sguardo rivolto verso l'alto c'è bisogno anche nella Chiesa, ha rimarcato il Papa. «Ne abbiamo bisogno nel cammino della fede, perché non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che ci brucia dentro e ci fa diventare appassionati cercatori del volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Ne abbiamo bisogno nella Chiesa, dove, invece che dividerci in base alle nostre idee, siamo chiamati a rimettere Dio al centro. Lui, e non le nostre idee o i nostri progetti. Ripartiamo da Dio, cerchiamo in Lui il coraggio di non fermarci davanti alle difficoltà, la forza di superare gli ostacoli, la gioia di vivere nella comunione e nella concordia».
I piedi in cammino sulla terra. «Il dono della fede non ci è dato per restare a fissare il cielo - ha ricordato ancora il Papa -, ma per camminare sulle strade del mondo come testimoni del Vangelo; la luce che illumina la nostra vita, il Signore Gesù, non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fratelli. I Magi cercano Dio e trovano un Bambino in carne e ossa». In effetti è un Dio in carne e ossa quello che i Magi incontrano. E lo possiamo fare pure noi, ha spiegato Francesco, «nei volti che ogni giorno ci passano accanto, specialmente quelli dei più poveri. I Magi, infatti, ci insegnano che l’incontro con Dio ci apre a una speranza più grande, che ci fa cambiare stile di vita e ci fa trasformare il mondo». Qui il Pontefice ha citato il suo predecessore Benedetto XVI: «Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo». Per questo «c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio».
Il cuore prostrato in adorazione. Davanti al mistero, di «un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo, che ha compassione di noi, soffre con noi e muore per noi. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. Il Dio che, «mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare […] in un angusto rifugio; debole nelle carni di un bambino, avvolto in panni da neonato veniva adorato dai magi e temuto dai malvagi». Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. Riconosciamo Gesù come nostro Dio e Signore e offriamo a lui i doni che abbiamo, ma soprattutto il dono che siamo, noi stessi». Su questo invito il Papa si è soffermato in particolare con un passaggio a braccio: «Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Oggi i Magi ci invitano ad adorare. Manca l’adorazione oggi tra noi».
In definitiva, ha concluso papa Francesco, in questo giorno dell'Epifania, «chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo e camminano sulle strade del mondo per portare a tutti la luce di Cristo, che illumina ogni uomo».
L'omelia è stata preceduta dall'annuncio della Pasqua, come prescrive la tradizione liturgica nel giorno dell'Epifania. Annuncio effettuato da un cantore della Cappella Sistina.
All'Angelus, affacciandosi su una piazza San Pietro gremita di fedeli nonostante il tempo piovoso, il Vescovo di Roma ha ripetuto il suo invito a contemplare Gesù. «Restare davanti a Lui, adorarlo nell’Eucaristia: non è perdere tempo, ma è dare senso al tempo; è ritrovare la rotta della vita nella semplicità di un silenzio che nutre il cuore. Stiamo anche noi davanti al Bambino, fermiamoci davanti al presepe». Insieme a questo, ha aggiunto, «troviamo anche il tempo per guardare i bambini, i piccoli che pure ci parlano di Gesù, con la loro fiducia, la loro immediatezza, il loro stupore, la loro sana curiosità, la loro capacità di piangere e ridere con spontaneità, di sognare. Dio è così: Bambino, fiducioso, semplice, amante della vita, sognatore: si è fatto carne e ama condividere con noi il mistero della vita, fatto di lacrime
e sorrisi. Fermiamoci allora a parlare, giocare e ridere con i nostri bambini; con pazienza, come sanno fare i nonni! Ascoltiamo cosa ci dicono e cosa ci dice Dio attraverso di loro. Se staremo davanti a Gesù bambino e in compagnia dei bambini impareremo a stupirci e ripartiremo più semplici e migliori, come i Magi. E sapremo avere sguardi nuovi e creativi di fronte ai problemi del mondo», riuscendo anche «a vedere i problemi del mondo con lo sguardo dei bambini. Maria, Madre di Dio e nostra - ha concluso il Papa - accresca il nostro amore per Gesù Bambino e per tutti i bambini, specialmente quelli provati da guerre e ingiustizie».
Francesco ha anche chiesto di pregare «per la pace, per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo. Tante vittime delle guerre, tanti morti, tanta distruzione. Preghiamo per la pace». Nei saluti finali è stato ricordato anche che sessanta anni fa, proprio in questi giorni, il papa San Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora si incontrarono a Gerusalemme, «rompendo un muro di incomunicabilità che per secoli aveva tenuto lontani cattolici e ortodossi». «Impariamo dall'abbraccio di questi due grandi della Chiesa e andiamo avanti sulla strada dell'unità dei cristiani, pregando insieme, camminando insieme, lavorando insieme».
Prima della celebrazione, nella Basilica di San Pietro, Papa Francesco ha salutato le monache benedettine provenienti dall'Argentina che da alcuni giorni abitano nel Monastero Mater Ecclesiae. Il monastero, nel cuore dei Giardini vaticani, per quasi un decennio è stato casa del Papa emerito, Benedetto XVI, dopo la storica rinuncia. Le religiose sono dell'Ordine Benedettino dell'Abbazia di Santa Scolastica di Victoria, provincia di Buenos Aires (Diocesi di San Isidro) in Argentina. Il Papa le aveva invitate con una lettera autografa del 1* ottobre 2023.