C’è un fenomeno umano, molto umano, che in Italia chiamiamo saltare sul carro del vincitore. Significa schierarsi con chi sta vincendo o ha già vinto. L’abbiamo visto tante volte. Ma se a farlo è uno dei padroni del mondo digitale come Mark Zuckerberg, proprietario di Meta (cioè, di WhatsApp, Instagram, Facebook e Messenger), allora la questione diventa inevitabilmente anche politica. Anche perché - come vedremo fra poco - ha ricadute pratiche che riguardano tutti. Anche noi italiani. Ed è a questo punto che la vicenda si complica. Perché sarebbe troppo semplice vedere Zuckerberg come l’ennesimo potente che per interesse si piega a uno più potente di lui. E lo fa anzitutto per non far perdere soldi e potere al suo impero. Perché gli serve, perché (probabilmente) non può farne a meno. E perché non può rischiare che Elon Musk si prenda tutto il meglio (e tutto il potere) della nuova stagione politica americana. Quella che si muove dietro lo slogan Make America Great Again (Rendiamo l’America di nuovo grande). Dove grande significa soprattutto ricca e potente. Anche nel digitale.
Il punto non è che Zuckerberg apra le porte del suo Consiglio di amministrazione a soggetti vicini o non invisi a Trump. Preoccupa invece che il fondatore di Facebook abbia deciso di seguire Musk nella sua corsa a lasciare spazio sui social anche alle voci più estremiste e pericolose, non prima di avere penalizzato le principali fonti di informazione.
Comunque la si pensi politicamente, infatti, non è una buona notizia che Meta abbia deciso di eliminare sui suoi social il fact-checking (cioè, il controllo della veridicità dei fatti), annunciando di averlo fatto «per combattere la censura». Il tutto copiando lo stile di X, l’ex Twitter di proprietà di Elon Musk. Dire di voler «abbracciare la libera espressione» è una cosa importante. Peccato che il dibattito e la libera espressione sui social non siano neutri, ma vengano governati dagli algoritmi decisi dalle piattaforme e dalle nostre debolezze umane, finendo col premiare chi urla, provoca di più e aggredisce gli avversari. Così il dibattito e la libera espressione diventano un paravento che nasconde un interesse non solo politico, ma anche economico. Perché riuscire a far funzionare il fact-checking su un social con milioni o addirittura miliardi di iscritti in tutto il mondo come Meta richiede mezzi tecnologici sempre più potenti. E sempre più moderatori anche in carne e ossa. Un sistema costosissimo.
Cavalcare la «libertà di espressione» è quindi un ottimo modo di usare lo scontro per aumentare le risse sui social, facendo di fatto anche "spettacolo" e quindi attirando l’attenzione degli utenti, in un mondo come quello digitale dove il nostro tempo e la nostra attenzione sono la vera moneta insieme ai nostri dati. Ma è allo stesso tempo un ottimo stratagemma per risparmiare un sacco di soldi e per togliersi dalle spalle la responsabilità di fronte alla disinformazione, alle bugie e al peggio del peggio che alberga sulle proprie piattaforme. Perché se Musk e Meta scelgono apertamente questa strada, significa che anche TikTok (che, vedrete, alla fine si salverà dal rischio di dover lasciare gli Usa o vendere) presto potrà accodarsi. Ma se sui social vale e varrà tutto, alla fine i corretti e chi persegue la verità finiranno inevitabilmente in minoranza. Anzi, in una minoranza così risicata che sembrerà non esistere più. Col risultato che anche chi oggi crede di avere vinto, avrà in realtà perso.