mercoledì 26 marzo 2025
La realtà prima delle idee: il numero delle coppie è quattro volte tanto quello dei minori che arrivano. E dall'estero i bambini adottabili hanno tutti "bisogni speciali"
Adozione internazionale in crescita

Adozione internazionale in crescita - .

COMMENTA E CONDIVIDI

Finalmente una bella notizia sul fronte delle adozioni internazionali. Nel 2024 le famiglie italiane hanno accolto 62 bambini in più rispetto all’anno precedente. Nel 2023 erano arrivati 478 minori. Nel 2024 sono stati 540, con un incremento del 13%. Potrebbero sembrare numeri insignificanti, ma in un’epoca come la nostra che vede una crisi endemica delle adozioni, insieme a tutte le scelte esistenziali a tempo indeterminato, è confortante scoprire che nel nostro Paese le coppie generose e coraggiose continuano a essere tante.

Molte di più rispetto a quelle che poi riescono davvero ad adottare un bambino all’estero.

Secondo i dati diffusi ieri da Aibi, Associazione Amici dei bambini, che ha anticipato il report annuale della Cai (Commissione adozioni internazionali) facendo sintesi delle cifre peraltro già pubblicate sul portale governativo, le coppie che hanno dato mandato a un ente autorizzato e sono già state destinate verso un Paese specifico, sarebbero 1.880. Difficile dire se questi genitori riusciranno a concludere il percorso adottivo entro il 2025, ma già il fatto di sapere che queste coppie esistono, hanno accettato il rischio di aprire le porte di casa a un bambino che arriva da un mondo diverso, fa bene al cuore e sollecita qualche riflessione.

Se già oggi il numero delle coppie disponibili all’adozione è quasi quattro volte superiore rispetto ai bambini che riescono poi effettivamente ad entrare nel nostro Paese, quante famiglie in più potrebbero rivolgersi all’adozione se si riuscisse ad azzerare i costi – oggi si spendono dai 20 ai 40mila euro – a semplificare la burocrazia, a tagliare i tempi di attesa, a ridurre le verifiche a quelle davvero necessarie?

Invece di avviare questi interventi, da tempo sollecitati da tutti i protagonisti del settore, si è pensato di aprire la possibilità di adottare alle persone single. La scorsa settimana la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 29-bis, comma 1, della legge numero 184 del 1983 – quella che appunto regola nel nostro Paese adozione e affido – nella parte in cui non include le persone singole fra coloro che possono adottare un minore straniero residente all’estero.

Giusto, sbagliato? Nessuno vieta di pensare che, in linea di principio, una persona sola, donna o uomo, possa avere competenze educative importanti. Ma per accogliere un bambino fragile perché solo, perché abbandonato, perché portatore di una cultura diversa non sempre facilmente assimilabile, accanto ai principi servono scelte concrete, capaci di fare i conti con la realtà. E la realtà delle adozioni ci dice qualcosa che è difficilmente contestabile. Il quadro internazionale è radicalmente cambiato. Molti Paesi asiatici, africani e dell’Est Europa che hanno chiuso le frontiere. Mentre dal Sud America arrivano in prevalenza bambini e ragazzi “con bisogni speciali”.

Secondo i dati della Cai, nel 2024 i cosiddetti special need hanno superato il 55 per cento del totale. Cosa significa? Che per accudire e far crescere questi figli in modo adeguato, figli più fragili non solo a causa di lunghi periodi trascorsi negli orfanotrofi ma per i disturbi psicofisici da cui sono affetti – di natura e gravità diversi – spesso non bastano due genitori competenti ed esperti. Come potrebbero cavarsela una persona sola? Va anche considerato che tanti Stati asiatici o africani accettano come candidati all’adozione solo coppie sposate e rifiutano in modo categorico di affidare i bambini ai single.

Sullo sfondo rimane quel “superiore interesse del minore” peraltro evocato anche nella sentenza della Consulta. E allora, se anche ci fossero due o trecento single tra le quasi duemila coppie sposate in attesa, cosa cambierebbe? Ci sarebbe davvero qualche giudice che, a parità di condizioni, metterebbe da parte una famiglia con una mamma e un papà, e magari figli naturali, per abbinare una persona single? Nessuna discriminazione personale, ma solo il rispetto del diritto di ogni bambino a essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso.

Ma c’è ancora qualcosa nella sentenza della Consulta della scorsa settimana che appare fuori registro, I giudici spiegano la loro scelta sostenendo tra che la genitorialità «rientra nella libertà di autodeterminazione della persona», anche di quelle singole. Ma un concetto così discutibile come quello dell’autodeterminazione non può essere applicato alla scelta di adottare un bambino. Avere un figlio, naturale o in adozione, non è un diritto esigibile per legge. Mentre da parte del bambino c’è il diritto ad essere accolto, accudito e amato da parte di una famiglia. Che è poi il principio su cui si fonda la legge 183 del 1984 dove si indica che solo le persone sposate possono fare richiesta di adozione.

Dopo oltre 40 anni vogliamo concludere che si tratta di una norma superata? Benissimo, ma per arrivare a una nuova legge, serena ed equilibrata come la precedente, non servono sentenze estemporanee, ma un percorso aperto a tutte le forze in campo, politici, magistrati minorili, avvocati, associazioni. E al primo posto, come sempre, vanno poste le esigenze dei piccoli, non i desideri dei grandi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: