Il dottor Vittorio Sgarbi è ricoverato al policlinico Gemelli. Sembra che stia lottando contro quel male oscuro che arriva senza preavvisi, ti tiene prigioniero, ti toglie il gusto di vivere e la forza di lottare, la depressione. Chi nel passato ha avuto a che fare con questo mostriciattolo ne sa qualcosa. Ho letto tante lettere – scritte con il cuore e con maestrìa - che amici e colleghi gli hanno inviato per augurargli una presta guarigione e anche per dargli qualche consiglio in merito. Sono rimasto commosso e li ringrazio per la sincera testimonianza di solidarietà. In mezzo a tante laceranti notizie che ci aggrediscono ogni giorno, queste cose fanno bene al cuore.
Eppure, non credo – ammesso che il dottor Sgarbi abbia la possibilità e la volontà di leggere - che quelle parole gli procurino un po' di giovamento. Al contrario, quei consigli potrebbero addirittura scoraggiarlo. Quasi tutti, infatti, lo spronano a darsi da fare, a non tirare i remi in barca, a non ammainare le vele, a ritornare a essere quello che era, a fare quello che ha sempre fatto. Parole, ripeto, belle, ma difficili da attuare. La depressione è una brutta bestia. Chi scrive, seppure per un tempo limitato, ha dovuto imparare a conviverci. La bestia arriva quando meno te lo aspetti, senza un motivo apparente, e, senza chiederti il permesso, spegne l’interruttore centrale. Ti precipita nel buio di una notte nera. Ti ruba la fame e il sonno; la voglia di studiare, di parlare, di uscire con gli amici. Moltiplica a dismisura il peso di tutto ciò che fai, dal lavoro allo studio, da una passeggiata a una vacanza. È come se, all’improvviso, le cose ti apparissero per quello che realmente sono. Il nudo essere prende il sopravvento su tutto ciò che è apparenza. Le cose che un tempo ti ammaliavano – il successo, la ricchezza, i viaggi, i piaceri della carne e della buona tavola – non ti dicono più niente. Guardi il mondo da un’altra prospettiva. Eviti di incontrare finanche le persone care per non sentirti appesantito dai loro consigli, che sai essere del tutto inutili. È come se nessuno conoscesse la lingua in cui ti esprimi. Il peggior nemico di te stesso, sei tu, o, meglio, quello che eri. Guai a guardare foto e filmati degli anni passati. «Come ho fatto - ti chiedi sgomento - a fare mille cose in un giorno solo? Come ho potuto sostenere il ritmo assurdo di tanti impegni che si accavallavano in giro per l’Europa?».
Cerchi la solitudine, o, al massimo, la compagnia di qualcuno che sa restarti accanto in silenzio, senza chiederti niente, senza rimproverarti, senza spronarti, pronto a eseguire i tuoi ordini più elementari. Vorresti dormire, ma il sonno – tiranno – non arriva. Vorresti, come sempre, immergerti nelle pagine di vecchi libri amici, che tanta compagnia ti hanno fatto nella vita, ma al solo sfiorarli avverti una fatica che ti toglie il fiato. Brancoli nel buio. “Mi sento come un treno fermo a una stazione sconosciuta” ha detto il dottor Sgarbi. Ha ragione. Che fare? Obbedire a tutto quello che la scienza suggerisce, sia dal punto di vista psicologico che farmacologico. Non sono un medico, ma un prete che ha attraversato “la valle dell’ombra della morte”. No, sarebbe un grave errore dirgli che abbiamo ancora bisogno di lui, della sua cultura, della sua arte, dei suoi modi di fare. Lui sa che non è vero. O, meglio, da persona intelligente qual è, sa bene che in questo mondo nessuno è indispensabile. Il dottor Sgarbi è troppo intelligente per credere che senza di lui il sole smetterà di brillare, domani.
Allora? Allora occorre avere il coraggio di non capire, di non affaticarsi, di lasciare al corpo e alla mente la possibilità di fare quello che possono, di accontentarsi, senza forzare la mano. Allora è venuto il tempo di ridere e sorridere delle tante cose assurde, beffarde, serie, inutili, belle, giuste, stupide, sagge, che abbiamo fatto nella vita. Per chi crede, questo è un tempo propizio per rivedere e approfondire la propria fede; per chi non crede, potrebbe rappresentare un’opportunità di prendere in considerazione l’incredibile e meravigliosa proposta del Vangelo. Le notti insonni di chi soffre non hanno la stessa durata delle notti scatenate in discoteca. Sono interminabili, dolorose, pesanti, opprimenti. Le prime ore del mattino, poi, sono insopportabili. Chi è in preda alla depressione non si aspetta più niente dall’alba come dal tramonto. Vive un tempo sospeso. Un tempo che fu, per chi scrive, di grazia indescrivibile. Abituato a parlare della croce, si accorse di essere rimasto schiacciato dalla croce. Obbedì ai medici e al padre spirituale. Visse di fede. Ogni suo respiro divenne preghiera. Una sola certezza: dopo essere stato inchiodato al legno, dopo avere esalato l’ultimo respiro, dopo essere sceso nel sepolcro, Cristo vinse la morte e ascese al cielo. Attese che quelle ore passassero.
Quanto durarono, pochi mesi o una intera eternità? Ecco, fratello Sgarbi, se hai l’opportunità di leggere questa mia riflessione, vorrei dirti: «Non temere. Sei stato giovane e bello, sano e forte, polemico e offensivo, giusto e vanitoso, ricco, colto, amato, invidiato e temuto. Ma sei stato, soprattutto, un uomo con i suoi talenti e i suoi limiti. Il tuo organismo aveva bisogno di fermarsi e si è preso una pausa senza il tuo permesso. Se, come papa Francesco, dopo questa esperienza, tu non dovessi essere più quello di una volta, non avere paura, non invidiare l’artista, il polemista, il politico che fosti. Sii te stesso, oggi, come lo sei stato in passato. C’è un tempo per ogni cosa. In questi giorni di sofferenza, sono certo, che i tuoi occhi stanno vedendo nitidamente realtà che, in precedenza, avvolto nei rumori e negli applausi, non riuscivi a vedere. Credimi, fratello Sgarbi, tutto è grazia. Dai tantissimi dipinti a sfondo religioso, da te tanto amati e commentati, ti arrivi quella luce e quella pace di cui tutti abbiamo bisogno. Ti sia di conforto sapere che tanti credenti pregano per te».